Tra passato e futuro: Millennium con la penna di David Lagercrantz (volumi 4 e 5)

Sono tornata? Non lo so, ma forse non ha importanza; questa doppia recensione è il mio personale regalo di Natale. Sarà che ho letto a distanza di poco tempo i due volumi in questione, sarà che volevo parlarne, sarà che tutto sommato a Natale si è più buoni – lo si è davvero? Mi piace pensarlo – e quindi mi sono decisa a regalarmi queste parole.

Facciamo però alcune opportune premesse, anche per entrare nel discorso.
1) Se non avete letto i tre volumi di Millennium scritti da Stieg Larsson ovvero Uomini che odiano le donneLa ragazza che giocava col fuocoLa regina dei castelli di carta forse non avrà molto senso quello che dirò. Vi consiglio di farlo dapprima, perché per parlare di Quello che non uccide L’uomo che inseguiva la sua ombra c’è bisogno di conoscere la saga di Millennium, mentre se lo avete fatto allora non ci sono problemi.
2) Stieg Larsson morì nel 2004, e i suoi volumi sono stati pubblicati postumi. Hanno avuto un grande successo, ma con la sua morte sono stati inevitabili dei retroscena riguardo una possibile continuazione della saga (perché di saga si parla, l’idea era quella da sempre, dieci libri a quanto pare). La querelle in poche parole è questa:  la compagna di una vita di Larsson, Eva Gabrielsson, non avrebbe voluto che la saga di Millennium continuasse dopo la morte dello scrittore, ma non essendo sposati e non essendoci un testamento, i diritti legali di Larsson sono stai divisi tra suo padre e suo fratello che invece hanno disposto diversamente. Hanno scelto quindi David Lagercrantz come successore.

Estendiamo questa parentesi. Da quello che si sapeva (e sapevo anche io, lo ammetto) su Lagercrantz illo tempore ovvero che il suo libro più famoso è la controversa biografia del calciatore Zlatan Ibrahimovic, non essendo il mio genere, non avevo appigli e voglia ad avvicinarmi a questo scrittore. Non sapevo nemmeno che avesse scritto romanzi d’inchiesta su casi di cronaca nera svedesi o romanzi o biografie di inventori e scienziati, l’ho scoperto dopo.

Ho aspettato molto anche solo per comprare il quarto libro e ho scoperto che, grazie al successo del primo libro di Millennium scritto da lui, Quello che non uccide, in Italia era stato pubblicato anche La caduta di un uomo, una biografia di Alan Turing narrata sottoforma di romanzo storico – quindi che mescola volutamente fatti reali, immaginari e verosimili – secondo uno stile che va a metà tra l’indagine poliziesca, la biografia e l’inchiesta giornalistica: uno stile che, nemmeno a farlo apposta, forse Mikael Blomkvist avrebbe approvato e chissà, magari usato anche lui se avesse scritto di Turing su un numero speciale romanzato del suo Millennium. Apprezzando molto la figura di Turing e non avendo mai digerito la resa del film The imitation game, ecco qual è stato il primo libro di Lagercrantz che ho letto. Mi è piaciuto e forse è per questo che da lì mi sono decisa a prendere il quarto di Millennium, mentre il quinto è stato un regalo in anticipo per questo Natale.

Il mio dubbio più grande – al di là del “chissà come si svilupperà la trama?” che era maggiormente una curiosità visto che Larsson ha lasciato poco quanto nulla sulla continua – era una paura: avevo paura che le personalità dei personaggi che avevo amato sin da adolescente e a ogni rilettura fossero state distorte, che non avrei avuto più davanti i Lisbeth e Mikael che conoscevo. Avendo letto qualcos’altro di Lagercrantz non avevo più il pregiudizio iniziale, ma questo timore c’era. Sulla caratterizzazione dei personaggi sono molto, molto severa, specie se mi hanno lasciato qualcosa come lettrice e come persona. Lisbeth e Mikael sono stati tracciati in modo preciso, sono personaggi complessi che a mio avviso avrebbero dato poco spazio a errori di interpretazione, con tutto che il rischio era concreto, con la conseguenza che anche la saga perdesse di valore, risultando spersonalizzata.

Nella mia piccola esperienza di fanwriter, quindi di autrice che si diletta a scrivere storie su opere che ama non a scopo di lucro, so bene che è una sfida – impegnativa, ma di gran lunga interessante e stimolante – attenersi al carattere dei personaggi, senza snaturarli, come anche rendere una trama coerente e coesa con essi, muovendoli proprio come farebbe il creatore. Può riuscire bene come anche no, tutto sta alla bravura di chi scrive. In quest’ottica Lagercrantz non è tanto diverso da un fanwriter, con la differenza che le sue opere sono da considerarsi canoniche nella saga quindi una valida continua della stessa.

Il rischio più grande di questi nuovi romanzi, specie il quarto, era quello di avere o una semplice imitazione di Larsson oppure di ritrovarci una narrazione del tutto nuova che non aveva continuità con quanto narrato in precedenza. Riprendere da dove eravamo rimasti non è facile.

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Quello che non uccide, romanzo più breve dei suoi predecessori (siamo sulle cinquecento pagine), si apre con un’ambientazione tra Svezia e Stati Uniti, dove ci vengono presentati personaggi nuovi, ma con un incedere di narrazione che sembra non avere una direzione precisa in quanto i fatti presentati non solo sono nuovi, quindi sconosciuti anche ai lettori di vecchia data, ma sono dettagliati.

Questo agli occhi di chi legge può tradursi in due pensieri:

  • Sono concetti che ci ritorneranno utili successivamente? E qui ci si può solo augurare che sia così perché per quanto la storia parta con lentezza ha il giusto potenziale per essere sia misteriosa sia avvincente date le premesse;
  • Siamo davanti a una storia che perderà il connotato del giallo scandinavo e andrà a finire sull’azione che contraddistingue il thriller statunitense?

L’inizio del romanzo non colpisce per ritmo, per la capacità di indurre curiosità e nel momento in cui ci ritroviamo davanti un Mikael Blomkvist stranamente demotivato, stanco dell’attività giornalistica e sfiduciato per il futuro della rivista Millennium che nel frattempo è entrata sotto l’influenza di un importante gruppo editoriale ci sembra di essere catapultati in una realtà a noi non nota, che spiazza. Eppure questo nuovo lato di Mikael mi ha lasciato presagire qualcosa di positivo, anche perché i personaggi nel corso del tempo non restano sempre gli stessi, statici e, nel bene e nel male, vivere o subire un’evoluzione è importante, anche per vedere come essi diventeranno e se saranno tutto sommato coerenti.

Mikael intuisce un’occasione di riscatto nel momento in cui Frans Balder, genio della fisica quantistica e dell’informatica, lo chiama perché vuole rivelargli dichiarazioni scottanti e si convince a incontrarlo quando scopre che Balder ha conosciuto recentemente Lisbeth Salander, di cui lui non aveva notizie da un bel pezzo. Balder stava lavorando a una ricerca molto importante sulle intelligenze artificiali e ci sono persone che desiderano impossessarsi dei risultati sia per quello che valgono sia perché hanno già in mente delle modalità di uso per le intelligenze artificiali. E ci saranno due intelligenze che a loro volta concorreranno a capire questi risultati: quella di Lisbeth e quella di August, il figlio autistico di Balder, che è in pericolo per aver assistito a un omicidio.

Se c’è una cosa che pare certa è che Lagercrantz ama scrivere di geni matematici e dell’informatica, personaggi anche sopra le righe, come ha anche ammesso direttamente. Ho apprezzato particolarmente i temi su cui si sviluppa l’intrigo della storia: l’autismo, l’informatica, l’intelligenza artificiale, la matematica, la violenza sulle donne… sono tutti elementi che definiscono bene l’argomento su cui si vuole discutere nonché attuali.

Larsson aveva sempre inserito nei romanzi elementi che portano in un certo modo a far riflettere, perché vicini alla realtà quotidiana a livello sociologico e in questo caso si danno input sui rischi provocati dal superamento di qualsiasi limite – etico, legislativo, morale – nell’uso dello spionaggio informatico, della sicurezza degli stati che si avvale sempre più di intercettazioni, forme di controllo e le informazioni (politiche, economiche, di qualunque tipo) diventano merci di scambio tra le parti.

Questo ha comportato un allontanamento nelle descrizioni di scene di violenza che avevamo nei precedenti libri nella saga, ma come Lagercrantz stesso ha affermato, è stato un modo per restare fedele sia al compianto Larsson sia a se stesso: ha parlato di violenza dandone un connotato particolare, uno più intellettuale, che sa essere subdolo e meschino, e proprio perché meno visibile rispetto a quella fisica ha una certa pericolosità spesso sottovalutata. La ricerca di giustizia sociale, tanto cara a Larsson, è presente e viva, come anche il quadro degli elementi su cui si vuole indagare è realistico e approfondito.

Le informazioni che si vogliono scoprire grazie allo spionaggio informatico sono poi legate al passato di Lisbeth e apparirà anche… non faccio spoiler.

Andando avanti nella lettura la lentezza iniziale che poteva esser vista anche come paura nei confronti del predecessiore si perde e la narrazione ingrana, i personaggi e la trama funzionano, e tornano alla ribalta anche alcuni a noi già noti come Erika Berger, il commissario Bublanski e Holger Palmgren oltre proprio i nostri protagonisti che ritroviamo simili a prima, quindi con delle differenze. A partire dal fatto che Mikael si trova a essere più spettatore degli eventi e non cacciatore di assalto col suo giornalismo mentre Lisbeth è più protagonista che mai oltre che una persona che si scopre, pur restando sempre ritrosa e sulle sue, protettiva, come si vede nei confronti di August oltre che amante della giustizia.

Se dovessimo fare un confronto con un classico che ha aperto la strada al giallo, Lisbeth può essere associata con Sherlock Holmes laddove Mikael è John Watson e in questo quarto capitolo la cosa appare più lampante che mai (già si notava che Lisbeth diventava sempre più protagonista, quindi potrebbe essere un risvolto molto naturale) e risultano essere personaggi sempre affascinanti, perché la guida della loro condotta resta nel modo più assoluto il senso di giustizia che ha caratterizzato la loro intera vita e non sono nuovi a rischiare di passare dalla parte del torto per far sì che essa trionfi.

Il romanzo presenta dei capitoli che si articolano su brevi intermezzi temporali che risultano incalzanti nella lettura, avvincenti, e le interruzioni delle sequenze narrative spingono ad accelerare la lettura acuendo al contempo il climax della storia. A differenza dei romanzi precedenti però –specie il primo – lo scenario qui è più ampio e allargandosi a parlare della sicurezza degli Stati Uniti viene a perdersi un attimo la concentrazione della narrazione sulla realtà e sulla società svedese che aveva contraddistinto la storia sinora, mentre il ritmo più rapido le dà una commistione di spy story laddove prima era un giallo con connotati di noir.

Un romanzo perfetto, dunque? Assolutamente no, sarebbe disonesto da parte mia affermare il contrario. Vi sono molte digressioni matematiche, tra cui concetti sui numeri primi, fattorizzazione, scomposizioni e, visti nell’ottica che questa riesce a essere il linguaggio di August – nonché la spiegazione sugli stessi savant – che gli permette di comunicare con Lisbeth riescono a essere perdonabili, mentre il linguaggio troppo tecnico, spiegazioni molto precise sull’informatica e sul linguaggio degli hacker possono risultare pesanti, per quanto però, dato che Lisbeth diventa maggiormente protagonista delle vicende – e dell’intrigo – può essere del tutto giustificato. Del resto, facendo riferimento alla trilogia di Larsson, noi conoscevamo poche cose della sua attività di hacker, come il nome del software creato da Lisbeth per controllare i computer di chi voleva “sorvegliare” – asphyxia – mentre le sue indagini restavano comunque secondarie; adesso invece diventano più importanti e presenti.

Resta sicuramente un merito che Lagercrantz abbia voluto informarsi sull’hacking, cosa sia e come funzioni, perché a conti fatti noi come spettatori vediamo sempre le solite mosse al computer, le schermate in bianco e nero delle parti in questione e in pochi secondi è fatta: abbastanza irrealistico, non trovate?

Questo romanzo però non era la sfida di David Lagercrantz: la vera prova del nove si sarebbe avuta con il quinto volume. E questo capitolo sarà al cinema nel 2018, con Fede Álvarez alla regia e Claire Foy nei panni di Lisbeth.

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Dopo due anni – il 2017 ormai terminato – è arrivato nelle librerie L’uomo che inseguiva la sua ombra, romanzo che segna il vero e proprio ingresso di Lagercrantz nelle fila della storia. Se Quello che non uccide poteva essere visto come un ponte tra il passato e quello che sarebbe diventato il futuro di Millennium, anche per non disorientare i lettori, ecco qui che il futuro è già giunto, diventando il presente.

Anche qui siamo sulle cinquecento pagine e, come per il volume precedente non abbiamo molte sottotrame rispetto ai romanzi di Larsson (che erano anche più corposi a livello di numero di pagine sebbene come ne La regina dei castelli di carta anche là le prime cento pagine… parevano incartarsi, se mi permettete il gioco di parole), ma la storia risulta coerente e coesa, la trama si sviluppa bene.

Ritorna in maniera più presente l’ambientazione svedese: i luoghi in cui i personaggi si muovono, parlano e agiscono sono ben tratteggiati e pare essere direttamente assieme a essi, per quanto anche questa volta abbiamo uno sviluppo parallelo della storia in luoghi diversi. In questo romanzo lo si nota maggiormente nei flashback.

Più che mai in questo libro è Lisbeth la protagonista assoluta della storia e si ritrova in un carcere di massima sicurezza per scontare una breve condanna – se avete letto Quello che non uccide sapete perché lei è qui – e all’interno della struttura tutto ruota attorno a una detenuta, Benito (sì, si fa chiamare così perché per le sue ideologie politiche osanna LVI), che si permette si spadroneggiare sul prossimo giacché chi dovrebbe garantire ordine e giustizia non lo fa. La vittima di Benito è Faria Kazi, una ragazza del Bangladesh che vive in Svezia da tanto tempo e Lisbeth farà di tutto per aiutarla.

Questo gesto permetterà a Lisbeth di accedere a un computer in carcere da dove comincia una serie di ricerche dopo la visita ricevuta dal suo vecchio tutore Holger Palmgren che innesca una serie di vicissitudini, non senza conoscere nuove informazioni che potrebbero aiutarla a conoscere nuovi tasselli della sua infanzia tormentata. Assieme al valido aiuto di Mikael scoprirà un elenco e l’esistenza di un Registro per lo studio della genetica e dell’ambiente, nonché il ricordo di una donna che aveva una voglia rossa sul collo.

Anche qui abbiamo dei temi sociali, tra cui la corruzione nelle carceri, l’andamento della Borsa e le conseguenze sulla società, l’immigrazione e la vita di una ragazza in una famiglia di religione islamica molto chiusa e intransigente, esperimenti al limite dell’etica e della morale giustificati per la scienza, nonché vite vissute a metà, gemelli scomparsi, rapporti da ricostruire, che sono argomenti che portano all’interno della narrazione anche un connotato sentimentale che non risulta affatto stucchevole o fuori contesto. Non posso dire di più però.

Purtroppo però alcune digressioni nella narrazioni, che rimandano ad avvenimenti accaduti negli scorsi romanzi, in stile “se non ti ricordi ti faccio un piccolo sommario”, forse per i nuovi lettori che partono dal quinto volume (può capitare), appesantiscono la narrazione e di tanto in tanto mi hanno fatto innervosire.

Al contrario, le dissertazioni scientifiche (specie su una questione in particolare) non mi hanno infastidita, forse perché sapevo che ci sarebbero state, memore del quarto volume, oppure perché sono una mia particolare debolezza, come anche le citazioni musicali di brani particolari che non stonano affatto né nel contesto né per quello che significa la musica in sé per due personaggi che hanno molto da dire nella sottotrama che si incastra in quella principale. Se in Quello che non uccide c’era il dettaglio di personaggi che leggevano alcuni libri che venivano nominati e mi aveva fatto impazzire, anche qui il dettaglio musicale (che è un’altra mia passione, è per questo che ho scelto di dire entrambe le cose una volta sola) mi è piaciuto molto, specie perché sono titoli che si associano bene ai personaggi in questione, sia per il loro mestiere o per gli hobby che hanno come anche il modo di vivere su di loro quella data passione.

Non per nulla abbiamo Mikael Blomkvist che legge Elizabeth George (refuso: la scrittrice non è inglese, ma americana), una giallista, mentre lui è stato di per sé soprannominato Kalle Blomkvist dopo che ha scoperto alcuni retroscena grazie a una sua inchiesta, proprio come se fosse un detective privato, come anche sapere che ha deciso di diventare giornalista dopo che ha visto per la prima volta da bambino Tutti gli uomini del presidente sono dei dettagli che caratterizzano meglio i personaggi e li rendono più vicini a noi, più umani.

Il tema dei gemelli scomparsi porterà a conoscere due personaggi – non dico altro – a scapito di altri che in questo caso sono se non dei comprimari quasi più delle comparse, a eccezione forse di Erika Berger che si vedrà in una data veste (che personalmente non mi aspettavo), mentre la coppia d’oro è presente e ben oliata.

Come dicevo prima, Lisbeth è in questo capitolo della saga al centro delle vicende più che mai e nel suo modo di indagare anche abbastanza action – facendo riferimento alla maggiore azione in tal senso delle storie di spionaggio come detto per Quello che non uccide – si scoprono nuovi dettagli della sua vita, come l’origine del suo tatuaggio sulla schiena, l’enorme drago o perché si fa chiamare Wasp e cosa rappresenta per lei il mondo in cui si è rifugiata da piccina.

È un’eroina fuori dagli schemi e dagli stereotipi, dotata di una viva intelligenza, che ha avuto un passato difficile e che, per quanto vittima, ha saputo reagire e  sconfiggere – se non tutti al momento almeno quelli che le sono parati davanti – i demoni che ha incontrato. È un personaggio che ha sé molto da dire e che è in costante evoluzione, per quanto resta sempre spinta dalla giustizia, che vive a modo suo, a stretto contatto con un febbrile stato ansioso di vendetta, per quella sua primigenia intolleranza alle ingiustizie, ritrovandosi a essere una stessa cosa.
Del resto, Lisbeth è molto chiara: prima si scopre la verità, poi ci si può vendicare. E in questa faccenda ha – se lo vediamo nella sua ottica – tutte le ragioni per volersi vendicare.

E non dico altro, perché credo di essermi dilungata troppo. Spero di avervi invogliati a saperne di più, di avervi solo incuriositi per dare una chance allo scrittore e ai romanzi, come anche di parlarne assieme se li avete già letti. Ne approfitto (visto che è il trenta dicembre) per farvi gli auguri per un buon 2018.
Ci rivedremo su questi lidi? Chissà.

Parlando de “La Bella e la Bestia”, il live action

Sono andata al cinema a vedere La Bella e la Bestia, il live action. Quello che vi presenterò è l’insieme di tutto quello che ho pensato sia dopo la visione del film sia dopo aver chiacchierato coi miei contatti su Facebook, che mi hanno dato ulteriori spunti di riflessione e mi piacerebbe proporveli, assieme al mio sproloquio.

Voglio fare due premesse molto importanti, con tutto che una dovrebbe esser molto chiara a prescindere di tutto:

  • SPOILER: parlerò delle variazioni tra film di animazione e live action, quindi siete avvisati. Personalmente non reputo le variazioni come spoiler, però se volete andarlo a vedere non sapendo nulla di quello che dirò più sotto non leggete dopo la locandina del film che farà da divisorio per il post. Volendo vedete prima il film e poi leggete e ne discutiamo;
  • Non tollererò nessuna ‒ e dico nessuna ‒ frase del tipo “sei arida” e soprattutto “non capisci un cazzo”: io esporrò quello che ho pensato nel miglior modo possibile, il che implica che sarò educata e civile. In sede di eventuale discussione pretendo la stessa cosa dall’altra parte. Non transigo. Lo dico spesso e mi ripeto, però l’educazione e il rispetto sono la prima cosa e non avendone trovata molta on-line preferisco essere chiara ‒ e anche un po’ paranoica ‒ prima mettendo i puntini sulle i.

Premesso ciò… Je suis prête, allons-y!*

La prima cosa che vi voglio dire è cos’è un live action, perché avrei anche una domanda da porvi.

Il live action è un film rifacimento/adattamento di un film animato/videogioco/fumetto con attori “In carne e ossa”, e questa dicitura la si usa maggiormente in contrapposizione se il prodotto di partenza è un film di animazione. Si usa anche per un film realizzato a metà strada ovvero usando sia l’animazione sia l’azione dal vero.

I live action riprendono la storia dell’opera originale e possono apportare eventuali cambiamenti alla narrazione aggiungendo qualcosa o arricchendola con questo e quello oppure può voler essere fedele quanto più possibile al prodotto del medium iniziale.

Una domanda che spesso si fa a tal proposito è: “se il live action è uguale ‒ o quasi ‒ perché non si va a rivedere direttamente il film di animazione?”. Cosa ne pensate voi?

Un live action è un prodotto essenzialmente di intrattenimento che ha lo scopo di marciare sull’effetto nostalgia che i fan del film di partenza possono provare e che sarebbero invogliati a vederlo già per questa ragione; è anche un modo per svecchiare un film di alcuni anni prima e che in questa nuova veste potrebbe portare nuovi fan. Business? Sicuramente, ed essendo il cinema dapprima un’industria è del tutto legittimo farlo; i soldi che porterebbero nelle casse questi film possono aiutare a produrre altri film, che hanno comunque dei costi. Il fatto che poi sia un film di intrattenimento non vuol dire che sarà necessariamente un prodotto di bassa qualità, anzi, quindi se il prodotto riesce si può essere anche contenti di averlo visto. Nel caso della Disney ci tengono particolarmente, non vogliono creare ciofeche. Io ho molto apprezzato Il libro della giungla uscito lo scorso anno e Cenerentola, in cui hanno inserito alcuni elementi di modernità (senza andare troppo lontano dalla storia di partenza) che ho molto gradito. Il mio preferito in assoluto sinora è: La carica dei 101 – Questa volta la magia è vera.

E adesso iniziamo a parlare del film vero e proprio.

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ATTENZIONE: non leggete sotto se non volete sapere nulla del film!

La prima cosa che voglio dire è che avevo pensato di non vedere proprio il film, almeno non in questo momento, sempre per la filosofia “facciamo passare la febbre e poi lo vedo io”, come anche di non vederlo affatto. Tra le varie ragioni per cui ho deciso però di vederlo è proprio uno dei messaggi che aveva il film di animazione: bisogna conoscere per abbattere i pregiudizi, e quindi sono andata al cinema.

Nel live action, trattandosi di un musical, troviamo delle aggiunte come alcune canzoni del musical e alcune canzoni create per l’occasione ex novo e ovviamente i brani originali composti da Alan Menken. Allo stesso modo sono state aggiunte delle scene nuove, come proprio l’inizio, che vede la trasformazione del principe in bestia dopo l’incontro della fata che non viene narrato visivamente dalle immagini nelle vetrate, ma abbiamo l’avvenimento “in diretta” oppure una scena con Agata (la fata) e Maurice, per dirne alcune o anche delle scene che si rifanno alla fiaba, come il rimando alla rosa che chiede Belle al padre ogni volta che viaggia.

La Bella e la Bestia quello del 1991 è un film di animazione che tutto sommato mi piace; non è il mio preferito** ma l’ho sempre visto ben volentieri. Il live action però non mi è piaciuto.

Se dovessi usare una sola parola per parlare di questo film sarebbe MEH. Riduttivo, mi rendo conto, ma effettivamente è la parola che ho detto più spesso tra me e me. Da come lo avevano pubblicizzato mi aspettavo molto, ma molto di più e la sensazione di MEH a fine film era acuita. Andiamo nel dettaglio.

Prima di tutto vi dico le tre cose belle:

Maurice: cosa vuoi dire a Kevin Kline? Nulla! Lui è uno degli attori che più adoro, sin da quando lo conobbi vedendo “Il club degli imperatori”. Le scene con lui sono le più belle, è stato un Maurice dolcissimo, a tratti svampito e a tratti saggio. Mi è piaciuto tantissimo e ho apprezzato che sia comparso più del Maurice del film di animazione, ottenendo quindi più risalto;

Fabrizio Pucci che dava la voce al clavicembalo, Maestro Cadenza. Lui è la voce di Hugh Jackman in molti film, che aveva interpretato Gaston prima di Luke Evans a Broadway. Ho apprezzato questa cosa per puro rimando, quindi lascia il tempo che trova, ma per onestà lo dico.

Questo si associa subito a una cosa per cui dico “peccato”, peccato non averlo visto in lingua originale per via del cast di doppiatori: tra i tanti abbiamo  Emma Thompson (Mrs. Bric), Ewan McGregor (Lumière), Ian McKellen (Tockins), Stanley Tucci (Maestro Cadenza).

La faccenda dell’incantesimo iniziale: molto coerente e più tragico del cartone, abbiamo la spiegazione al motivo per cui nessuno si ricorda del castello (la fata fa perdere la memoria agli abitanti del villaggio e tramite l’incantesimo isola anche il castello stesso a livelo fisico) e dei suoi abitanti e ho apprezzato che qui a mano a mano che la rosa appassisce gli abitanti del castello diventano più oggetti e meno umani, perdendo proprio la loro vita, e il castello cade sempre più a pezzi a ogni petalo caduto. Bella pensata, molto apprezzata.

Le cose nì:

I costumi: senza infamia e senza lodi, non sono spettacolari, ma la capigliatura del principe mi fa urlare per l’orrore giacché, se proprio si vuol fare i precisini, andavi di parrucca settecentesca e bona lì. E qua ho un dubbio: è una fiaba, quindi l’esattezza storica può andare a farsi un bagno, no? Sì. Allora perché avete lasciato acconciature molto semplici a Belle e non al principe? La sua è proprio brutta. I colori degli abiti non sono molto vivi, specie quelli del ballo finale (tutti vestiti di bianco? Che tristezza) e non lasciano il segno. Se faccio riferimento al Costume, quello famoso con la lettera maiuscola, allora siamo nel no.

LeFou/LeTont, di cui vi parlerò per ultimo.

Adesso tutto il resto, che per me è NO.

L’introduzione, recitata da Vittoria Puccini. Amando leggere ad alta voce, con un tono adatto alla narrazione, apprezzando molto gli audiolibri, se mi trovo davanti a delle introduzioni recitate con espressione, in qualsiasi media proposto, mi si conquista, perché il mio cuore si scioglie e si lascia catturare dal timbro, dal tono e anche dalle parole. Qui non ho avvertito espressività, mi sembrava più una lettura piatta, di quelle che fai a scuola per forza senza sentimento, e ci sono rimasta molto male.

I tempi nella storia. Ho percepito stacchi nel montaggio e stacchi temporali che, per quanto in una fiaba lo scorrere del tempo non sia definito spesso qui non è molto chiaro. I tempi sono gestiti male, con tutto che dura di più rispetto al film di partenza; sono stati aggiunti dei dialoghi, ma se lo si dice male, con un tempo non ottimale, appaiono come un “allunga brodo”.

CGI. Chi ne sa più di me (non ho mai detto di essere una laureata in critica cinematografica) potrà bellamente smentirmi adducendo spiegazioni oggettive al riguardo, ma io l’ho trovata imbarazzante. La bestia non mi ha spaventato molto; è pur vero che quella del film di animazione non la si trova brutta col tempo, ma almeno all’inizio, quando appare, incute timore, e questo non avviene nemmeno nella famosa scena dell’ala ovest, dove sembra più stizzito che adirato. Non mi è piaciuta nemmeno la sua resa grafica: mi sembrava più un personaggio qunari di Dragon Age Inquisition volutamente fatto bruttarello con qualche mod per l’occasione in game. E a tratti la mascella andava da una parte e la mandibola dall’altra e nei movimenti non mi sembrava abbastanza fluido. I servitori resi oggetti mi hanno inquietata sinceramente, e non fatto tenerezza. Il castello ha l’aspetto gotico, come quello originale, ma qua perde di smalto, a mio avviso.

La magia di certe scene non pervenuta: la scena della biblioteca, quella della sala da ballo e quella della trasformazione nel cartone sono magiche, e ancora oggi, a 25 anni, se rivedo il film le amo, mi viene il batticuore. Sono le mie scene preferite e posso figurarmele nella mente ed emozionarmi anche solo chiudendo gli occhi. Qui, queste scene in particolare sono state rese tutto di fretta, e mi è sembrato tutto oscuro, triste. La biblioteca viene inquadrata in un istante e nemmeno del tutto, la scena del ballo viene liquidata in pochi istanti e mi aspettavo un gioco di luci che mi avrebbe fatto sognare, come anche un’esplosione di colori quando la bestia torna in vita e ritorna uomo. Il film dura di più rispetto a quello di animazione e le cose in cui forse l’effetto nostalgia avrebbe vinto a mani basse sono rese in due attimi. In questo caso dico “dilusione di diludendo”. Si potrà replicare dicendo “ma non deve essere tutto uguale al fim” e vi dirò “avete ragione”, ma diciamocelo, chi non ha sognato di vedere la biblioteca della bestia almeno una volta nella vita, reale, su grande schermo? E poi la vedi un attimo solo? Forse avevo aspettative troppo alte.

I costumi. L’abito del ballo di Belle, che ho trovato orrendo, ma proprio in generale. Posso capire la filosofia del mantenere la semplicità di Belle, ci sta, ma questo vestito è proprio triste, sciatto, e fa urlare “ma che poraccitudine!” da tutti i pori. Sembra più un abito per carnevale fatto alla buona con le poche risorse che hai a disposizione che non un abito per il ballo, con un colore orrendo. Va bene che il giallo canarino sembra esser di moda, quest’anno, ma il vestito giallo oro della Belle del ’91 vince. Bocciatissimo questo del live action.

Belle. Facciamo un’altra premessa: so bene che molti adorano Emma Watson, lo so. Siete cresciuti con Harry Potter (io non posso mettermi in mezzo perché non è la saga con cui sono cresciuta quindi non ha senso), la adorate anche per questo, la adorate come attrice, la trovate bella, la adorate per quello che fa a livello umanitario. Tutto giusto e tutto legittimo. Io separo molto le cose, di netto: apprezzo il suo impegno come attivista e la trovo un cupcake nelle interviste, non l’ho mai negato, ma a livello attoriale sinceramente mi fa cascare le braccia. Già col passare del tempo nei vari film di Harry Potter mi era sembrato che fosse più Hermione Granger a interpretare Emma Watson e non il viceversa, e qui la stessa cosa, era Belle che interpretava Emma e non mi è proprio garbata come cosa. Quando recita ha la stessa faccia e se ha delle espressioni sono in un range molto limitato. L’ho notato anche in “Noi siamo infinito”, “Bling Ring” e “Noah”, quindi non sono partita prevenuta, i film li ho visti perché penso che si possa sempre migliorare come attori. Lo ha fatto Kristen Stewart in “Sils Maria” e “Still Alice”, lo sta facendo Katherine McNamara in “Shadowhunters”, quindi possono farlo tutti secondo me. Qui sembrava fosse o sempre spaventata o con un sorriso molto tirato. Nel caso di Belle erano tante smorfie, il labbro superiore sempre arricciato in stile “ma che schifo” che, se quando respinge Gaston va bene, per tutto il resto del film anche no. Belle è un personaggio che tutto sommato, anche se non è il mio film di animazione Disney preferito, mi piace, ma non mi è piaciuta la sua resa. Avrei preferito un’altra attrice per Belle già esteticamente perché non ce l’ho mai vista per Belle (una Belle papabile, al di là dell’età, per me è sempre stata Natalie Portman o anche Daisy Ridley) e quest’ultima considerazione è del tutto opinabile, perché per me Emma bella non è, ma non mi sono lasciata comunque fermare e ho visto il film. La recitazione che non mi ha convinto supera questa cosa ed è del tutto lontana dalla mia considerazione estetica. Il fatto che poi non canti nemmeno nel film fa chiedere perché sia stata scelta lei. La ragione che mi viene in mente è il fatto che “tira” perché è molto apprezzata dai giovanissimi, e dai fan che sono cresciuti sia con la Disney oltre che con Harry Potter oltre al fatto che è la sua principessa preferita se non erro e che abbia voluto proprio partecipare in prima persona al film (ha rifiutato La La Land per parteciparvi, correggetemi se sbaglio).

Parlando propriamente del personaggio di Belle non ho molto apprezzato alcune cose in particolare: nella prima canzone dice “È dal giorno in cui arrivammo/che mio padre ed io pensammo/questo posto è provinciale” e subito dopo il popolino dice “guarda noi dall’alto in basso” e dopo “è altezzosa”. Adesso, so che l’adattamento è quello che è ‒ adattato al labiale ‒ e non è questo su cui voglio discutere, ma sulle parole usate. Nella versione inglese del film di animazione, Belle dice: “Ev’ry morning just the same/Since the morning that we came/To this poor provincial town” quindi lei per prima pensa che il villaggio sia provinciale con tanto i trogloditi e la gente gretta, e ascoltando la canzone è solo un’affermazione, che nel complesso ci può stare, anche perché lei veniva da Parigi, la capitale, anche se la traduzione italiana la trovo “più pesante” rispetto alla versione inglese, ma questa è una mia percezione. Sono le parole del popolo che ti fan venir da dire a Belle: ma tu chi cavolo sei? Belle è il simbolo dello spirito intelligente, della persona che non si lascia andare a giudizi e pregiudizi, perché adesso ce li ritroviamo? Lo trovo uno scivolone pazzesco. Fa tanto “sono uno special snowflake” in stile molto Tamblah e lei diventa quella che giudica, in stile non è giusto che si giudichi, non giudicatemi, però io posso farlo.

Mi è stato fatto notare che questa cosa la si può vedere anche da un altro punto di vista: anche la Belle del film di animazione nella scena del Bonjour! può esser vista come un’arrogante a cui non piace il paesello e i compaesani (che la vedevano comunque come l’X su cui sparlare o anche solo come “la strana” o quella che non capivano), con tutto che loro però la salutavano e non la odiavano, tutto sommato. Mentre lei, che vuol vivere di avventure, che non è come la gente del paese, si emarginava da sola, credendosi superiore. Lo trovo un punto di vista altrettanto valido. Essendo stata da piccina emarginata, criticata e presa in giro dal paese in cui ho vissuto, io non lo avevo interpretata a questa maniera perché facevo più riferimento al “non c’è nessuno ahimè che capisca il perché”, quindi la vedevo più come una ragazza molto sola, proprio come me, quindi non l’avrò notato.

Questa Belle è una Belle che sa fare tutto, e tutti la lodano perché è forte, è coraggiosa, è capace a far tutto. Non si sconforta mai, è sempre positiva, ed è così irrealistico. Vedere lei con la passione della meccanica al posto di Maurice non l’ho sopportato. Sembra lei l’inventrice e non il padre. Va bene che Belle è intelligente, e che ha potuto ereditare l’inventiva dal padre, però questo è troppo. Avrebbe avuto più senso creare il prototipo della lavatrice con Maurice, secondo me.

Nel film di animazione c’è la scena in cui la Bestia le dice che cenerà con lui e subito dopo Belle scoppia a piangere. Piangeva anche prima, quando aveva salutato Maurice. Quelle lacrime indicano una debolezza, ma è credibile: si può essere forti anche se si cade nello sconforto, se si piange, se si soffre. Fa parte della natura umana ed è giusto così. La nuova Belle la trovo un modello improponibile di donna non perché moderna, ma perché irraggiungibile. E non se ne sentiva il bisogno.

Gaston. Argh. Gaston, o meglio, Luke Evans, mi è piaciuto. Ha espressione al di là di essere un (soggettivamente parlando) bell’uomo. Nasce da Broadway poi e si vede, sa come tenere la scena. È Gaston il personaggio a non essermi piaciuto. Ci viene detto che è un analfabeta, non sa né leggere e né scrivere: perché dice allora che apprezza una donna intelligente? Perché? Ricordiamo che lui è quello che dice “ma come fai a leggerlo? Non ci sono figure”, “Lascia perdere i libri e dedicati a me”. E adesso vuole sposare Belle perché non si umilia come le altre… eh? Lui voleva Belle perché era la più bella del paese, lui, che era il simbolo dell’ignoranza, di quell’ignoranza negativa che conduce alla paura di ciò che non si conosce ‒ la Bestia ‒ e che porta poi alla follia distruttiva ‒ il voler uccidere la Bestia ‒ e tutto questo sparisce. Perché?

Il fatto che non abbia denigrato Maurice quando dice di aver visto una bestia in un castello, dicendogli poi, camminando verso il castello, che voleva aiutarlo solo per sposare la figlia attentando subito dopo alla vita del vecchio (perché rifiuta) lasciandolo in pasto ai lupi lo rende sì cattivo, ma lo rende anche furbo, almeno in parte, perché poi il suo gesto non aggiunge nulla alla trama in modo significativo. E quindi?

Si è cercato di dargli maggior caratterizzazione facendogli dire cose in più e dando anche un background aggiuntivo ‒ quando dice che è andato in guerra e ora vuole metter su famiglia ‒ ma sebbene sia un ragionamento che per me detto così non sta in piedi, ovvero avrebbe bisogno di ulteriore approfondimento per esser credibile, ci hanno sempre dato un Gaston molto sempliciotto e buzzurro, “troppa profondità” ‒ quella supposta, che si voleva dare ‒ stona.

Le dinamiche tra i protagonisti. Mi sono sembrati più amici che non amanti, e la chimica tra loro non l’ho percepita, anche perché alcune cose che ho sempre visto importanti (per esempio le lacrime di Belle quando la bestia le mostra il castello e che lui nota, sentendosi a disagio, oppure la carezza di Belle quando va da Maurice che sta male) e che avrebbero dato quel qualcosa in più al loro rapporto e a loro come personaggi dal ruolo centrale. Anche durante la scena del ballo non trovo la naturalezza e la complicità che c’era nel film animato, che qui invece sembra più una coreografia di Ballando con le stelle, che però non ha calore, come anche non ha calore la scena in terrazza. Quanto ho sofferto.

Le aggiunte utilizzate male. La bestia ha un libro che permette di viaggiare, ma viene usato solo una volta. Non lo si poteva usare anche quando Belle vede Maurice in pericolo? Si poteva, ma non lo hanno fatto. Allora perché inserirlo solo per darci il motivo per cui Maurice e Belle sono andati via da Parigi che non aggiunge nulla alla storia a livello di trama e di crescita dei personaggi? Dico così perché se da un lato Belle capisce perché ora vive nel paesino, dall’altra non ha mai comunque avuto modo di sollevare il dubbio al padre. Se lo avesse fatto avremmo avuto un conflitto tra i due, non necessariamente fatto col litigio, ma la scena del viaggio avrebbe avuto un senso, che qui non ha.

Allo stesso modo non ho apprezzato la figura di Agata, che poteva essere decisiva in alcuni punti, come per esempio quando Gaston zittisce Maurice che lo ha accusato di omicidio (il suo) e minaccia LeTont che sa la verità, ma non parla. Eppure non fa nulla. Lei sapeva, ed è stata zitta. Perché allora è stata messa come personaggio? Mi sarebbe piaciuto vederla almeno che ci diceva il motivo per cui aveva fatto vivere l’incantesimo anche agli altri abitanti del castello che comunque non avevano colpe. Nemmeno questo. #mainagioia

Il politically correct. Gaston che elogia Belle, che la desidera così com’è, assieme alla gente si rende conto che Gaston è un cafone e questo si nota nella scena in cui LeTont paga la gente per elogiarlo. Questa non la trovo proprio una rivisitazione in chiave moderna come nel live action di Cenerentola, questo è politically correct, ovvero un modo di rifuggire alle eventuali accuse di offese verso determinate categorie di persone. Un prodotto di fantasia ha come primo scopo quello di narrare qualcosa, ed eventualmente dare un messaggio, anche grazie a personaggi e azioni negative che, portate sullo schermo (come in questo caso, trattandosi di un film), posson far riflettere. Se non abbiamo la materia su cui riflettere, come si potrà accendere la scintilla della riflessione? Il politically correct appiattisce ogni dubbio, ogni difetto, ogni possibile controversia e ogni spessore che nel cinema solitamente viene dato proprio dall’umanità dei personaggi, mentre la complessità muore.

Parlando del politically correct sulle persone di colore nella Francia del Settecento dico nì, ovvero che essendo una fiaba, quindi non si ha la necessità di essere storicamente accurati, ci può stare a mio avviso, ma dall’altro lato avrebbe avuto più senso se il contesto spazio-temporale fosse stato un luogo fantastico direttamente. A tal proposito, sentir dire Gaston che dice non so cosa significa dopo il je ne sais pas di LeTont è imbarazzante per questo: sei in Francia, sei francese, dovresti saperlo. Non è divertente, né tantomeno realistico se batti più volte il dente sul fatto che la storia è ambientata in Francia.

Motivazioni che anche no. Abbiamo la bestia che “poverino, è così per colpa del padre”. Ahia. C’era bisogno di questa giustificazione che non dice nulla e fa cadere Belle nel dispiacere appena sente quelle parole? No. Questo porta poi al tagliare l’amicizia tra Belle e la Bestia per passare direttamente all’amore. Ogni parte complessa che può essere data dai personaggi umani, con pregi e difetti, che incarnano alcuni lati dell’umanità ‒ non necessariamente positivi ‒ vengono smussati e appiattiti e tutti siamo più felici. Beh, io non di certo. La storia del passato tragico non contestualizzato ha stancato (tipo quello di Cristiano Grigio). Questa anche rientra tra le aggiunte non necessarie, che avrei apprezzato se avesse portato anche in un abbraccio finale tra il principe e i suoi servitori per riappacificarsi visto che si sentono in colpa per aver permesso questa cosa o per avvicinarsi a Belle che ha perso a sua volta la madre. Qua serve solo per dire “oh, povera stella, allora è per questo che è stronzo”; con la conseguenza che Belle se ne innamora.

Il doppiaggio. La metrica delle canzoni era sballata per adattare meglio le parole al labiale, ma nonostante i cambiamenti il labiale era spesso scollato. Non ho altro da dire.

Passiamo a LeTont. Josh Gad è bravissimo, ha una gestualità che mi piace, è espressivo, l’ho adorato come attore! Lui, con tutto che è una macchietta, una spalla comica del villain, è il personaggio riuscito meglio, anche perché, essendo in carne e ossa, il tratto macchiettistico si perde un pochino. Ho apprezzato la sua crescita e la sua crisi di coscienza. È pur vero che l’ho apprezzata a metà. Perché? Sempre in vista del politically correct e perché mi sorge spontanea una domanda: la crisi di coscienza del personaggio è stata data dal fatto perché è gay? Mi spiego meglio: se fosse rimasto il LeTont che appoggia Gaston fino alla fine si sarebbe urlato al “dà un’immagine negativa dei gay”? Considerando il disagio della gggente è possibile, e non vorrei che fosse stata questa la ragione dei dubbi instillati nel personaggio nella durata del film. Lo sappiamo, esistono persone buone e persone cattive e personaggi buoni e personaggi cattivi, ma questo va sempre al di là da ciò che “sono” come personaggi sociali (non so come definirlo meglio).

Quando si tende a vedere i personaggi come donna, uomo, nero, bianco, omosessuale, etero ecc. si perde ciò c’è alla base: il personaggio a livello globale. I personaggi vengono spersonalizzati, la loro personalità viene meno perché diventano rappresentazioni di comunità.

Il fatto che non sia stato esplicitato chiaramente però nel film mi fa dire: era necessario dare il connotato a questa maniera, dandolo definitivo negli annunci e non nel film in modo esplicito (il ballo finale con un bel giovane non lo è)? Che sia solo il primo passo e non il tentativo “non osato” perché è un film concepito anche e soprattutto per i più piccini? Ai posteri l’ardua sentenza. Una cosa ve la posso dire però: nessun bambino verrà deviato vedendo il film, ve lo posso assicurare.

E qui: abbiamo bisogno dei personaggi che rappresentano delle minoranze? Sì, perché non tutti al mondo abbiamo gli stessi diritti e mostrarli maggiormente nei prodotti che raggiungono tante persone si dà loro più visibilità. È giusto renderli tutti buoni perché devono dare un messaggio positivo? Personalmente il messaggio positivo lo si dà se si rende bene un personaggio con tutti i crismi a livello di caratterizzazione al di là da ciò che rappresentano (che viene proprio dopo) e non solo con la semplice presenza di essi come contentino.

Spero più che altro questa linea di pensiero cambi e che avremo personaggi ben caratterizzati prima e che rappresentano minoranze poi, con la speranza che cambi poi anche il modo di pensare della gente cosicché si smetta di accettare il “diverso” perché non verrà più visto come tale, come è giusto che sia.

In conclusione… Mi sarebbe piaciuto trovare la magia in questo film, almeno tanto quanta nel film di animazione. Ne ho trovata poca, non mi sono sentita coinvolta, non ho sospirato sognante assieme ai personaggi e assieme alla bambina nostalgica che avrei potuto essere e che non sono stata. Non per cinismo, credo, perché altrimenti non mi sarei intenerita con Maurice, o come anche mi è capitato con il live-action di Cenerentola, però sarebbe stato più facile farmi sentire a casa con questo film e non è successo. Quel dommage.

*Citazione come personale tributo al film e a una saga di libri/serie TV; un biscotto a chi indovina.

** I miei preferiti tra i film propriamente Disney sono: Gli Aristogatti, La carica dei 101, La spada nella roccia e Robin Hood.

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Cose che mi danno il nervoso

Con questo titolo annuncio ufficialmente (beh, è da tanto che non scrivevo nulla, quindi un annuncio in pieno stile ci sta, no?) il primo post della rubrica spensierata pour parler, dal titolo molto semplice, ma che tutto sommato trovo adatto.

Benvenuti nel mio salotto!

SALOTTOSTELLA
No, non è il salotto di casa mia, ma mi piacerebbe. Del resto, “pink is pretty” (un biscotto a chi coglie la citazione).

In questi giorni, oltre che in questo periodo in generale, mi sono capitate delle cose alquanto bizzarre, sia nella vita di tutti i giorni sia sui social e, dato che ritengo che la vita virtuale sia una parte comunque reale della nostra vita per intero, tali avvenimenti si sono accumulati e mi hanno dato fastidio tutti assieme. Quando dico che la vita virtuale è una parte comunque reale della vita in toto va da sé che in questo caso parlo di me perché ho scelto di essere me stessa anche sul web, quindi non inventando nulla di sana pianta; le ragioni sono molto semplici:

  1. Non ha senso mentire per me, dire cose che rispondono al falso, anche perché non riuscirei nemmeno a farlo: mi sentirei disonesta dapprima con me stessa e poi con gli altri;
  2. Preferisco incanalare la fantasia che userei nelle bugie in qualcosa di più creativo, magari scrivendo.

Dopo questa premessa, ecco che mi accingo a parlare delle cose che mi fanno salire il nervosismo (o il “nervoso”, per dirlo in modo più colloquiale) oppure davvero arrabbiare.

Ammetto che il tutto si potrebbe risolvere con una parola sola, lagggente, ma non sarebbe specifico, quindi approfondirò il discorso.

Ho buttato giù una lista di venti punti così come mi sono venuti in mente: dieci erano troppo pochi perché, sebbene in questo periodo cerco di essere più serena, quando mi arrabbio non ce n’è per nessuno.

Altrimenti_ci_arrabbiamo
Non potevo non citarli.

Pronti? Via! Un attimo: il titolo è liberamente ispirato al titolo di questa canzone che trovo divertentissima e simpatica.

  1. La gente che fa rumore quando mastica (combo: a bocca aperta): il fastidio derivato da questo gesto è tanto e tale, credetemi. Vi basti pensare che, quando pranzo con i miei genitori e mio fratello, quest’ultimo e mio padre tengono un concerto masticatorio che mi fa venir voglia di ribaltare il tavolo. Non lo faccio perché poi cadrebbe anche il cibo a terra, oltre a loro due, e ho detto tutto;
  2. Chi fa rumori troppo forti quando si soffia il naso: collegato al punto uno, anche questi rumori mi danno molto fastidio. Ammetto però che io non so soffiarmi il naso e non saprei nemmeno fare il suono di una trombetta smorzata e infatti per me soffiarmi il naso è un’impresa;
  3. La gente che parla ininterrottamente durante un viaggio: lo ammetto, quando viaggio tendo a stare quanto più possibile sulle mie sia se viaggio da sola (quando prendo i mezzi) sia se sono in macchina con persone che sono costretta a tollerare o che non sopporto proprio. Tendo a mettere le cuffie e a leggere, e non sopporto che mi si “inviti” a chiacchierare se non ho voglia o di ascoltare il ciarlare alrui su cose che non mi interessano. Non dico di no alle frivolezze, quando viaggio coi miei amici sono pronta alla chiacchiera, ma questo deriva dal fatto che loro sono persone a cui voglio bene e di cui amo la compagnia, con loro ci sono cose di cui parlo volentieri e posso essere me stessa. Se devo sentire “Tizio, il figlio di Caia, ha fatto questo, questo e quello”, io passo, e non mi importa di passare per asociale;
  4. Chi vuole convincere le altre persone a pensarla come loro facendo della sterile polemica: credo che questa sia una delle cose per le quali provo davvero un odio molto forte e penso che ci sarebbe molto da dire, sebbene possa esser abbastanza chiaro in queste poche parole. Ritengo che il confronto, educato e ragionato, sia uno dei motori della società, e cercare un dialogo anche con persone che la pensano in modo diverso dal nostro è bello, perché può arricchire gli interlocutori. Se invece si cerca a tutti i costi di imporre il proprio pensiero allora mi inalbero, perché dapprima non è giusto, poi perché lo trovo davvero maleducato e poi perché se non sai né argomentare in modo civile né desideri solo uno scambio, ma una specie di “indottrinamento”, allora non ha proprio senso cercare il dialogo con questa persona. Ecco, voler portare avanti una discussione solo per contraddire gli altri, senza nessun fondamento logico nel discorso, ma solo per avere ragione mi dà fastidio: questa è l’accezione in negativo della parola polemica, a cui aggiungo il termine sterile. Brutto da dire, ma persone del genere possono parlare solo con una cerchia di persone che la pensano come loro e che quindi confermano e rafforzano quel dato modo di ragionare e che poi magari, quando non sanno come controbattere, alla fine partono col “avrai anche ragione, ma io la penso così”. Sul serio?
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    Non sono persone con cui voglio avere a che fare;
  5. Chi dice di volere il confronto con te sui social, ma dopo averti eliminato dai contatti adducendo anche la scusa “evidentemente non sono la persona con cui puoi interagire”: NO. Mi ricollego a quello che ho detto proprio prima: il confronto è bello, tanto bello. Circondarsi di persone che la pensano come te perché non sai e non vuoi (perché non sai farlo) portare avanti un discorso con chi la pensa in modo diverso e ti fa notare qualcosa in modo educato per me non ha senso. Rimuovermi dai contatti cercando poi di arrampicarsi sugli specchi dicendo tante cose che non hanno fondamento meno che mai. Il disagio, signori miei. Ebbene sì, questa cosa mi è capitata;
  6. Essere svegliata dal telefono che squilla: e poi magari scopri che sono anche i gestori di telefonia a svegliarti, nemmeno una chiamata di qualcuno che conosci. No, non lo sopporto;
  7. La gente che parla alle persone che si sono appena svegliate o che accende la televisione di prima mattina: ammetto candidamente di essere una persona che la mattina al risveglio ha una routine che trova necessaria per far sì che la giornata inizi nel migliore dei modi. Mi serve solo della musica (nelle cuffie, perché non abitando da sola tendo a non disturbare le coinquiline) o il silenzio e preparare la colazione canticchiando, tutto qui. Parlarmi appena sveglia iniziando a dire un fiume di parole (di cui è sicuro che ne ascolterò sì e no mezza) e pretendendo anche che io risponda subito a tanto ciarlare mi fa solo dire “non ce la posso fare”. Davvero, abbiate pietà.  Va bene essere pimpanti e pieni di energie sin da subito, appena alzati, non è una cosa che condanno, ma rivolgermi la parola a macchinetta così non permette a me di stare bene, col risultato che il malumore salga prepotente e per una buona parte della mattinata. Idem se si accende la televisione. Mi dà molto fastidio sentire la televisione appena alzata, specie se è a volume alto; sia a casa dai miei sia con le coinquiline avrò detto mille volte che basterebbe dirmi “posso accendere la televisione?” di modo che andrei anche in camera per non sentirla, ma no, la accendono comunque. E questa è una mancanza di rispetto, ma litigare non porta comunque a nulla, col risultato che sto mettendo da parte i soldi per andare a vivere da sola;
  8. Gli ex che ritornano: nella mia vita sono stata abbastanza sfortunata sentimentalmente parlando e non ho capito perché, dopo avermi tradita e aver scelto qualcuno che millantavano di amare davvero (con tanto di fidanzamento ufficiale, con l’altra persona ovviamente, non con me), fossero tornati. In verità la risposta è questa: torniamo da quella scema che ci trattava bene e con rispetto nell’attesa di trovare un’altra per poi scaricarla daccapo, tanto è sicuro che ci tiene. Postilla più scurrile: intanto che troviamo un’altra andiamo a infilarlo nel “buco sicuro”. Esser stata trattata come un oggetto è forse la cosa che mi ha fatto più male di tutte, al di là del tradimento (che non concepisco proprio). A differenza delle protagoniste di quelle storie romantiche da quattro soldi, io ho capito che la minestra riscaldata non solo fa schifo, ma soprattutto che persone del genere non dovevano mai più avvicinarsi a me e provare a farmi ancora del male. Fatto sta che le persone che si comportano così le detesto nel profondo;
  9. La gente che ha pretese immotivate: voglio essere molto sincera, con me il rispetto si guadagna. Di base sono una persona che rispetta chiunque, anche gli sconosciuti, ma è anche vero che pretendo rispetto anche dagli sconosciuti. Se per esempio sono su un autobus urbano e vedo una persona anziana, essendo di mio una persona (credo) gentile e che vuol bene al prossimo, cedo volentieri il mio posto a sedere, sempre che io non sia stanca (come quando vado a comprare cose al supermercato più fornito e ho delle bustone da trasportare fino alla fermata oppure quando la mattina vado in ospedale per farmi dei prelievi e non faccio logicamente colazione); se però mi si dice “alzati, fammi sedere” con tono duro e pretenzioso oltre che cattivo, io quelle parole te le faccio mangiare a suon di calci… metaforici, ovviamente. Pretendere qualcosa solo perché ti aspetti che la gente faccia qualcosa per te perché fai parte di quelle “categorie” di persone che si impara a rispettare e a trattare con gentilezza fa di te la prima persona che non rispetta il prossimo, quindi il mio rispetto di base riservato anche a te, persona sconosciuta, viene meno;
  10. Chi non capisce che non si è obbligati a trovare tutto divertente o ciò che reputano gli altri divertente: personalmente sono una persona molto autoironica (anche e soprattutto sul mio aspetto fisico), che ha imparato a non prendersi molto sul serio che ama ridere e fare battute su qualsiasi cosa. Che siano battute intelligenti, con rimandi, demenziali, spicciole e con allusioni sessuali io rido. Adoro anche il black humour (non mi addentro in questo contesto su quello che reputo black humour, magari in un’altra occasione volentieri). Chi mi conosce però sa che è difficile farmi ridere; può sembrare un paradosso, ma non lo è.
    Ci sono però persone che criticano chi non ride alle loro battute e non capisce il loro umorismo. La cosa è abbastanza semplice: se si fanno battute che non si trovano divertenti non puoi costringere le persone a ridere per forza. Ognuno di noi ha una visione della vita differente che porta a fare ironia su alcune cose mentre su altre se ne fa meno o per nulla: è una cosa normalissima e molto umana, a mio avviso. Quello che non tollero è criticare il senso dell’umorismo altrui dicendo “ma ridi” se la cosa non fa ridere al singolo a cui vuoi imporre la risata, non si è dissimili dalle persone di cui parlo nel punto quattro, perché vuoi spingere qualcuno a pensarla come te se vuoi che ridano di X cosa che a te fa ridere e loro no.
    Preciso che in questo non caso non parlo di quelle battute che vengono spacciate per umoristiche laddove sono offese gratuite e stupide (come per esempio molte battute sessiste che non fanno ridere visto che non hanno lo scopo di suscitare il riso), ma dell’atteggiamento “bisogna ridere di tutto nella vita perché la vita è già pesante di suo”. Non è così, e non è giusto mettere l’etichetta di persona non mentalmente elastica se non si riesce o non si vuole ridere di tutto;
  11. Il bodyshaming: che sia rivolto alle donne, che sia rivolto agli uomini, alle persone in sovrappeso, alle persone in sottopeso, a chiunque, è una cosa che fa schifo. E, lo dico e non lo nego, fanno schifo anche le persone che si permettono a disprezzare gli altri basandosi sul loro corpo. Attenzione, non sto dicendo che debba piacere chiunque a ognuno, ma dire cose del tipo “mangia un poco di più, sei così magro!”, “le ossa diamole ai cani!”, “che balena spiaggiata!”, “ma non vedi come sei? Vai da un medico!” è sbagliato oltre che da stronzi. Le ragioni sono molto semplici e provo a fare un elenco.
    a) La gente a casa ha uno specchio. Sembrerà strano, ma in tutte le case c’è almeno uno specchio, non c’è bisogno che diciate agli altri come sono. Lo sanno benissimo, lo sappiamo benissimo.
    b) Dire a qualcuno qualcosa sulle proprie condizioni di peso non servirà mica e soprattutto basterà per fare intraprendere a queste persone un percorso per stare meglio. Il percorso di ognuno, a parte esser personale e calibrato sul singolo, deve necessariamente partire dalla persona stessa; a nulla servono le parole degli altri se non è la persona a voler far qualcosa per star meglio.
    c) Anche se la si mette sul discorso “io parlo per la tua salute!” a parte ricollegarsi ai punti precedenti, c’è da dire che se così fosse al massimo si userebbero parole più gentili e non un “che schifo” (che nella maggior parte dei casi viene anche detto oltre che pensato), ma nemmeno con toni più pacati è da dire. Questo perché non siete medici, e se lo siete non siete autorizzati a dirlo a qualcuno per strada o su un social. Nel caso in cui questa persona con problemi di peso venga nel vostro studio a visita e avesse segni e sintomi ascrivibili alla propria condizione fisica allora e solo allora potreste dirlo. Certo, anche in quest’occasione ci si collega al primo punto, ma qui siete autorizzati a dirlo, perché la persona è venuta da voi, medici e non persona che passa per strada, rivolgendosi a voi come professionista. Il fatto che poi si debba esser sempre e comunque educati dovrebbe esser scontato, ma lo dico comunque;
  12. La gente che quando salta la barricata inizia a disprezzare le persone della “categoria” di cui faceva precendentemente parte: questo punto si collega a quello precedente se parto riferendomi alla mia esperienza personale. Ho sempre avuto problemi di e col peso. Ho perso molti chili, alcuni li ho ripresi e in questo momento della mia vita sto facendo controlli su controlli perché non sono pienamente in salute. Sono seguita da una dietologa e ho con lei un rapporto di amicizia; mi aveva detto, a inizio percorso una cosa che mi ha molto colpita: adesso che stai dimagrendo non diventare una persona che disprezza i “ciccioni” (ha usato la parola tra virgolette per sottolineare il disprezzo). Lì per lì ho pensato stesse esagerando dicendomi che le persone che dimagriscono, una volta magre, tendono a offendere chi è sovrappeso/obeso. Per come sono io non mi sognerei mai di fare una cosa del genere, perché non tollero le offese in alcun modo, né a farle né a riceverle e, avendo subito bullismo sia nel quotidiano (anche per il mio aspetto) sia online, so bene quanto faccia male. Invece ho scoperto che esistono davvero persone che, una volta magre, vedono quelle grasse e le ricoprono di insulti. Non so se ci sono rimasta più per la cosa in sé, per il fatto che non lo avrei mai creduto possibile, oppure perché non mi aspettavo che il mondo fosse così tanto cattivo. Fatto sta che ci rimasi di sale. Posso dire che quando leggo certe cose come “ma quanto mi fanno schifo queste persone” quando chi lo dice poco prima rientrava nel novero delle “persone schifose” (tra virgolette perché non lo penso io, ma è opinione diffusissima) mi sento male e mi arrabbio. La rabbia mi viene poi perché vengono sbandierati i propri progressi schiacciando gli altri. Anche qui vale il discorso fatto nella postilla b del punto di prima: il percorso di ognuno è personale. Mortificando e schifando le altre persone non le si aiuta e sicuramente non siete belle persone. Quando poi vengono fatte le supposizioni del tipo “non fa abbastanza”/”è una persona pigra”/”fa solo la vittima”/inserite altro lì poi è la fiera dei cliché che alla fine ricevono da me sempre la stessa risposta (perché, vi stupite che io risponda a questa gente? Forse sono più paladina di quanto non voglio ammettere): non siete la persona che state ridicolizzando, non sapete cosa passa per davvero nella testa della persona (anche se la conoscete di persona), e anche se le vostre supposizioni fossero giuste, non è comunque affar vostro perché non è che così la persona si “dà una mossa”, grazie alle parole cattive;
  13. Chi dice per prima “non giudicate gli altri”, ma dà giudizi sulla vita altrui con tanto di supposta autorizzazione a farlo: questa è una cosa per me molto ridicola, lo ammetto. Il messaggio di non fare agli altri quello che non vorresti esser fatto a te viene interpretato portando l’acqua al proprio mulino. Tu, persona generica, non devi essere giudicata, ma sempre tu puoi farlo sugli altri. La senti l’incoerenza di fondo? Per avere rispetto bisogna prima darlo, e quando ti si fa notare la palese pisciata fuori dal vaso (immagine molto evocativa, mi rendo conto) non è bello pestare i piedi come i bambini o fare le vittime: hai detto quelle cose, le parole hanno un peso, assumiti la responsabilità delle tue parole, abbi il coraggio di dire che hai sbagliato e rimedia, se puoi;
  14. Le frecciatine: sarà che ho una certa età (?) e sarà anche che sono una persona molto diretta, ma odio le frecciatine. Le odio anche da spettatrice ovvero quando non sono rivolte a me. Le trovo infantili e irritanti: perché non dire ciò che si pensa, anche se porterebbe a una discussione (eventualmente pure pesante), ma in faccia? Se si ha la forza e l’onestà intellettuale da dire una cosa in una frecciatina, perché non averne un poco di più per rivolgersi al diretto interessato, che spesso ci arriva pure. Mi sanno tanto da poracciata, non ne capisco il senso;

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    Mio marito ha parlato.
  15. Le shipwar: altra cosa che per me non hanno senso. Se non ti piace una ship perché devi attaccare i personaggi e soprattutto la gente che shippa la data coppia? Non basta girarsi dall’altro lato e passare avanti se si vedono prodotti (fanart, fanfiction, video fanmade) o anche scene, gif, no? Troppo dispendio di energia? Mah, trovo che sia più dispendioso accapigliarsi per questo, con crudeltà e cattiveria;
  16. La gente che tende ad apprezzare i personaggi in base al loro orientamento sessuale e basta: questa è una cosa che non ho mai capito, in tutt’onestà. Posso capire la preferenza per un tipo di ship, anche io ne ho una, ci mancherebbe, ma amare dei personaggi per partito preso, solo perché sono uomini omosessuali (nei fandom mi pare che sia questa la preferenza) e basta, senza considerare altro del personaggio, lo trovo riduttivo, oltre che un modo per spersonalizzare il personaggio. L’orientamento sessuale di un personaggio non è che lo rende necessariamente più interessante di altri e non è la cosa più importante del personaggio stesso. Si tratta di una caratteristica, tra le tante che rendono il personaggio così com’è, ma non è che sia l’elemento principale che lo rende tale. E quello che fanno, quello che dicono, come si pone nei confronti degli altri? Per capirci: la sua caratterizzazione mica si ferma all’orientamento sessuale. L’orientamento sessuale non definisce noi per intero come persone, figurarsi i personaggi. So bene che, al giorno d’oggi, visto che attualmente non abbiamo ancora tutti gli stessi diritti davanti la legge e al mondo, c’è bisogno di personaggi che ci permettono di rappresentare tutti, con la speranza che in un futuro prossimo questo non costituisca elemento di novità e che sia la prassi, ma ridurre i personaggi solo a cosa apprezzano sessualmente e nel caso anche sentimentalmente parlando non penso sia corretto nei confronti dei personaggi stessi;
  17. Chi dice che se non ti è piaciuto X allora sei una persona arida, non capisci niente oppure sei altro detto con parole ben peggiori: spesso le mie opinioni su questo o quello sono impopolari e mi è capitato di sentirmi dire la famosa frase “non capisci un cazzo”. Ho perso il conto di quante volte mi è stato detto e no, non è così. Non mi dilungherò sulla questione e se vi va di sapere come mi approccio alle opere vi lascio il link al post in cui ne ho parlato e vi lascio anche i due link ai post sulla soggettività e l’oggettività (questo è il secondo);
  18. La gente che si crede sempre “holier than you” e condannano le tue abitudini e preferenze: anni fa (ma credo ancora adesso) esisteva la faida tra persone che vanno in discoteca e persone che restano a casa a leggere. In poche parole la seconda categoria di persone si credeva migliore delle persone della prima perché per loro leggere è un’attività “superiore”, con la conseguenza che loro sono superiori agli altri perché leggono, stanno a casa, non escono e vanno in locali “frivoli”, così come l’attività di ballare in discoteca come anche il solo andarci. Ho sempre ritenuto che leggere aprisse la mente, allontanasse i pregiudizi, aiutasse le persone a essere più consapevoli delle cose e del mondo circostante. Contestualizzare le letture porta a riflettere, a crescere. Questo credersi migliori degli altri “gne gne gne” solo perché si legge non ce lo insegna la lettura, ma è un messaggio che ritengo sia passato da quando le statistiche affermano che si legge di meno e quindi la lettura viene vista come un qualcosa di raro, mitico, leggendario, e far parte di questa “minoranza” illude di esser in qualche modo “speciali”. Sbagliato. Il modo di vivere di una persona e come decide di spendere il proprio tempo libero non rende la persona A migliore della persona B: siamo tutti uguali;
  19. Dire che si è invidiosi di questo o quel personaggio dello spettacolo se diciamo che lo troviamo brutto: si chiamano gusti personali. Non possiamo piacere a tutti (e nemmeno dovremmo sforzarci di farlo, a mio avviso), è una cosa assolutamente impossibile, e siccome un giudizio estetico, che si limiti solo all’aspetto esteriore e non vada a offendere la persona, non ha mai fatto male a nessuno, ci sta dirlo. Si tratta di una chiacchiera come un’altra e muore lì. Il tutto sta nel modo in cui si dice, non vediamo l’invidia delle persone se dicono che X personaggio lo trovano brutto, suvvia, è una cosa che a una certa diventa anche noiosa;
  20. Questa sarà una sorpresa, mi sono resa conto che meriterebbe uno spazio a parte!

Ho blaterato abbastanza, mi sa. E questa era la prima puntata (?) del mio programma (?) chiacchiericcio. Sentitevi liberissimi di dirmi le vostre cose odiate, senza problemi; alla prossima!

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Guarda un po’ chi si rivede!

Sono tornata. Almeno per ora.

Avevo detto che mi serviva un po’ di tempo per ricaricare le pile e diciamo che va un pochino meglio. Prendere le cose con più leggerezza mi sta facendo bene e mi permette di essere tutto sommato a tratti serena, il che è già un ottimo miglioramento.

Voglio rifare un piccolo riassunto delle rubriche che ho aperto, di quelle che ho ideato (ma non ancora attuato) e vorrei parlarvi di una piccola idea molto semplice.

In ordine alfabetico abbiamo:

  • De + ablativo: la rubrica delle mie opinioni con i post che cominciano col famoso Di all’inizio del titolo. Anche in questo caso gli argomenti possono essere più disparati, con un occhio critico su ciò che voglio trattare;
  • Donne che odiano le donne: riprendendo il titolo del romanzo di Stieg Larsson, Uomini che odiano le donne, in questa rubrica vorrei evidenziare le grandi incongruenze delle donne che non hanno capito che cosa voglia dire femminismo e che si proclamano femministe… anche se non hanno capito per nulla cosa questo voglia dire. Non è perché io sia chissà chi e lo abbia capito e le altre persone no, sia chiaro, ma è indubbio che circola molta disinfomazione su cosa sia il femminismo, su cosa faccia riferimento, perché esiste… è così, purtroppo, ma si può provare a cambiare le cose. Allo stesso modo sottolineerò le cattiverie dette dalle donne sulle altre donne, perché mi sono ritrovata a constatare che spesso il peggior nemico di una donna sono le altre donne. So bene che quest’ultima frase è un luogo comune, ma un luogo comune, perché tale, si basa sempre su un fondo di “verità statistica”, da intendere come casi numerici: se avviene tot volte il dato avvenimento e il tot è ripetuto nel tempo si dà modo allo stereotipo di essere sempre più alimentato. Mi piacerebbe parlarvi di come e perché nasce uno stereotipo, chissà che non lo faccia al più presto;
  • Fenice Fangirl, ovvero una rubrica più leggera in cui parlo di fangirleggiamenti veri e propri, mantenendo un tono tranquillo o delirante a seconda di quello che ho da dire, comprese le mie adorate liste top e flop. Qui lascerò che sia proprio il mio essere fan di questo o quello a parlare;
  • Fenice Scatenata, la rubrica delle unpopular opinion, ovviamente motivate;
  • Occhio SISMico: il progetto più ambizioso di tutti, nonché quello che mi sta più a cuore. Voglio parlare di una realtà a me vicina e che, da quando ne sono diventata membro, mi ha davvero cambiato la vita in meglio. Si tratta del SISM, ossia il Segretariato Italiano degli Studenti in Medicina, un’associazione per e con gli studenti. Si fa molta educazione (teorica e pratica), sensibilizzazione e campagne di informazione, estendendo dei messaggi quanto più possibile, non solo a chi studia medicina, ma proprio a tutta la popolazione perché molte sono le realtà di cui si sa poco e in cui dilaga una grande ignoranza che non ci permette di essere delle persone migliori. Se l’anno scorso sono stata redattrice dell’area SCORA (qui potete trovare il post in cui vi parlo in breve e in modo generale del SISM e delle sue aree) del giornale Zona SISMica, adesso mi sono imbarcata per essere caporedattrice, lo sono diventata, e spero possano esserci tanti scambi positivi e nuova linfa vitale per l’informazione.
  • Rubrica delle recensioni, la prima con cui ho iniziato. Possono essere riguardo qualsiasi cosa.

Quindi, in sostanza… c’è molta carne al fuoco, ma vorrei provare a tenere la cadenza di un post a settimana; la rubrica che di volta in volta tratterei sarebbe diversa, anche a seconda di quello che ho da dire. Per molti un post a settimana potrebbe essere anche poco, ma per me, anche per ricominciare potrebbe essere il giusto compromesso.

Tra le rubriche in progetto, ma che non ho ancora concretizzato, se non col preambolo, è Tutto Roth: una rubrica monografica sul mio scrittore preferito, Philip Roth. Un percorso in cui parlo di ogni suo libro, contestualizzandolo, e lasciando emergere sia oggettività sia soggettività. Vi lascio il Preludio così, se può interessarvi. Conto di rendere viva anche questa rubrica quanto prima e magari fare, che so, un post al mese sempre X giorno del mese.

L’ultima idea è quella di una rubrica, a cadenza regolare, molto leggera e frivola, una rubrica “chiacchiericcia” in cui parlare di cose molto semplici, di tutti i giorni, pour parler: ho scoperto che chiacchierare di qualsiasi cosa, mantenendo un tono colloquiale e quotidiano mi fa molto bene e vorrei provare a fare questa esperienza anche sul blog. Questo potrò farlo al meglio se mi venissero poste delle domande, anche di opinioni come di semplici curiosità, a cui poi risponderei volta per volta. Non ho ancora trovato un nome alla rubrica, quindi sono aperta a ogni suggerimento possibile. E qui vi chiedo se la cosa può farvi piacere oltre a, eventualmente, pormi le domande, sempre che vi vada.

Alla prossima! ^^

I miei propositi per il 2017. Meta-pensiero #03

Buoni propositi. Bella roba. Due parole che dicono tanto, forse troppo, due parole che spesso mettono ansia anche solo a pensarle.

Quando si parla dei buoni propositi per l’anno nuovo alle volte si dicono tante cose e, a cavallo tra i sogni e qualcosa di letteralmente irrealizzabile, spesso si arriva a rendere concreto poco quanto nulla di cui si era programmato.

Vale la pena, dunque, fare dei buoni propositi?

La risposta è, come tante cose a questo mondo, soggettiva e relativa. Dipende dal singolo, da quanto si dà importanza alle proprie parole e alla voglia – se presente – di renderle poi fatti, gesti tangibili.

Per me è importante, se non altro perché sento di essere arrivata a un punto della mia vita in cui non ho più spazio per i “vorrei”, ma soltanto per i “voglio”, e ho deciso di mettere nero su bianco i miei desideri – fattibili, almeno credo – e di impegnarmi quanto più possibile per realizzarli. Non che i “vorrei” spariscono da un giorno all’altro, ci mancherebbe, ma quando mi ritaglio del tempo per me e per le mie riflessioni – non a caso anche questo è un meta-pensiero – sento di conoscermi un po’ di più rispetto a degli istanti prima, e ammetto a voce alta di volere certezze, di costruire qualcosa, in qualsiasi ambito che io reputo importante.

E, non lo nego, sono una persona che vuole tenere sotto controllo quanto più possibile – faccenda da INTJ, mi dicono, secondo la personalità da Myers-Briggs.

Bando alle ciance, i miei propositi per quest’anno sono:

1)    Voglio terminare quest’anno i miei progetti da fanwriter già iniziati sia come storie postate sia come file nella mia cartella “Da completare”. Se non tutti, almeno la maggior parte, perché ho deciso di smetterla col fanwriting o, per meglio dire, dilettarmici di tanto in tanto in maniera molto sporadica a partire dal prossimo anno, senza troppi grilli per la testa. Il fanwriting è sempre stato un divertimento e una passione, ma non slegati da un certo impegno, e se vedo che il mio impegno non è apprezzato, tanto vale dedicarmi a qualcos’altro. A tal proposito ho iniziato a mettere nella mia biscottiera di BB-8 qualsiasi altra idea fandomica che mi viene in mente sotto forma di foglietto in cui raccolgo le idee che mi sono frullate; le tengo lontane da me – non senza appuntarle – perché sono fermamente intenzionata a non scrivere altro “di nuovo”;

2)    Voglio stare meno sui social network. Sebbene i quarantenni abbiano ragione sulla faccenda “pulizia contatti”, alle volte essa non basta perché persone con cui ti trovi anche bene a parlare hanno certe uscite che ti fanno cadere le braccia e arriva la cocente delusione, unita a una gastrite e a un malessere – almeno per me – non indifferente. Visto che spesso mi sento un’outsider anche lì sopra dato che se dico qualcosa o mi si dice che non capisco un cazzo oppure mi si mangia preferisco limitare quanto più possibile la mia presenza. È il mio benessere che conta, il resto viene immediatamente dopo;

3)    Voglio capire cosa fare con i blog e le recensioni. Anche qui, come per il fanwriting, data la demotivazione nata dal “ma chi me lo fa fare?”, mi do quest’anno di tempo per vedere se smettere del tutto di aggiornarli e smettere con le recensioni qui sopra, di modo che possa impiegare il tempo in qualcosa di più costruttivo. Ammettere un fallimento farebbe male, ma esserne consapevole mi farebbe stare meglio con me stessa perché sarei pronta a ricominciare;

4)    Voglio regalarmi più tempo in compagnia delle persone che amo;

5)    Voglio stare meglio, parlando della mia salute fisica, quindi ce la metterò tutta per perdere i chili che mi mancano per arrivare al mio peso forma, non dimenticando di fare controlli (questo mi risulta facile, sto molto attenta alla mia salute e faccio la mediconzola di me stessa);

6)    Voglio costruire qualcosa sentimentalmente parlando secondo il mio modo di vivere una relazione;

7)    Voglio leggere tanto e vedere più film al cinema (non sarebbe mancato un punto al riguardo). Per questo punto proverò per la prima volta in vita mia a fare una reading challenge, sperando di non abbandonarla prima perché potrei vederla come un’imposizione.

Sette punti, sette buoni propositi; vediamo quanti riuscirò a concretizzarne; se non altro il mio impegno c’è.

Meta-pensiero #02

Arrivano dei momenti in cui si tirano le somme e si inizia a parlare di come sia andato l’anno passato; spesso accade proprio negli ultimi giorni di dicembre. Sono quei momenti in cui definisci le cose belle e le cose brutte che ti sono capitate a livello personale, ma forse è una definizione un po’ riduttiva. Quello che so in questo momento è che sento di dover fare un “bilancio” e di spiegare alcune faccende.

In questo periodo sono pressoché sparita dai blog (le due piattaforme perfettamente uguali anche nel nome) e penso sia corretto dire il perché di questa decisione. Se mi leggete ve ne siete accorti, visto che a parte postare di tanto in tanto qualcosa sulla paginetta Facebook non ho fatto molto altro.

La ragione è molto semplice: sono molto demotivata.

Se la famiglia che ho scelto come tale (i miei amici) mi rende felice e il mio cuore è pieno del loro affetto, a livello personale mi sento insoddisfatta di come vanno le cose qui.

Quando ho aperto il blog mi sentivo entusiasta, carica di idee e soprattutto di energia. Mi sono detta “perché no? Sarà divertente”. Le idee ci sono ancora, ma col tempo sono scemati il mio entusiasmo e la mia energia.

Quando si scrive qualcosa va da sé che lo si fa dapprima per se stessi, perché si ha qualcosa da dire, perché si sente di voler parlare, ma è anche vero che se hai qualcosa da dire vorresti che qualcuno ti ascoltasse, che si interagisse, che si parlasse su quanto hai affermato… Non nascondo – e mai l’ho fatto – di amare i dialoghi nati dalle osservazioni più disparate, perché possono portare a degli scambi tutto sommato interessanti.

Certo, nel magico mondo del web è molto facile anche incappare nei famosi webeti così definiti da Mentana – ecco, questa parola la voglio inserita nei dizionari! – però esistono anche le teste pensanti, fortunatamente, quindi non tutte le persone sono il male.

Alle volte, però, lo scambio che mi piacerebbe che ci fosse non arriva e qui casca l’asino.

Molti sono i dubbi che mi assillano al riguardo e tutte le domande che mi sono posta non solo non hanno per ora una risposta, ma hanno contribuito al mio malessere visto che può essere frustrante avere dubbi irrisolti e soprattutto non sapere come migliorarsi.

“Non mi so esprimere?”, “Non sono obiettiva e precisa come vorrei essere e dico di essere?”, “Sono noiosa?”, “Non frega a nessuno di quello che voglio dire?”… queste sono alcune delle domande che mi sono posta e che come un picchio battono nei miei pensieri. Sono andata a vedere “Animali fantastici e dove trovarli” e avevo pensato di dire la mia, ma mi sono bloccata, perché tutti i miei dubbi sono riaffiorati prepotenti, non permettendomi di continuare con quello che sarebbe dovuto essere il post del blog e che è invece rimasto come file nella mia cartella “da completare” (e resta tuttora file incompiuto).

Mi si potrebbe ribattere “ma scrivi su Zona SISMica e su Ultima Pagina, perché dici che le cose vanno male?” e la mia risposta sarebbe questa: il blog è il mio progetto personale, casa mia, quindi sono molto legata a esso e mi spiace che io sia così giù di morale al punto da intristirmi solo pensando a esso.

Per questo motivo ho deciso di staccare, perché se qualcosa non mi rende soddisfatta – e al contempo anche felice – non ha senso che io mi disperi e danni.

Perché la mia priorità resta sempre una: il mio benessere fisico e mentale.

Ho trovato conforto nella lettura che mi ha dato una grande mano e va meglio rispetto a prima, in tutta sincerità.

D’altra parte, non sono una rinunciataria, e so che l’impegno e la perseveranza alla fine ripaga di tutti gli sforzi compiuti, ed essendomi fatta delle promesse voglio portarle avanti fino in fondo, cercando di trovare il modo migliore per stare bene dapprima con me stessa e poi con gli altri.

Ciò vale sia per la me fanwriter (per chi non lo sapesse sono anche una fanwriter) che si pone troppe domande destabilizzanti sia per la me che ha deciso di portare avanti questo progetto di recensioni e pareri.

Se sia i miei personaggi sia le mie idee si meritano il meglio di me (grazie alla mia patatina per avermelo ricordato), non devo dimenticare che lo devo dapprima a me stessa.

Quindi mi prenderò il mio tempo e cercherò di essere al meglio di me anche su queste piattaforme. Perché ci sono altre persone che meritano il meglio di me: voi che mi leggete e che non mi avete fatto mancare supporto e sostegno.

Tornerò, statene pur certi. Non so quando di preciso, ma tornerò.

Nel caso in cui dovessi anche trovare un equilibrio per fare qualcosa con delle cadenze regolari non mancherò di avvisare.

Tutto quello che posso chiedere (e mai pretendere) è di aspettarmi, se vi può far piacere.

Intanto io vi saluto e vi mando (con alcuni giorni di anticipo) gli auguri di buone feste.

E, come sempre, grazie di cuore.

“Regina di fiori e radici”: la gioia di una fangirl, classicista mancata, a medicina

Vorrei iniziare parlando un po’ di me, e quando succede vuol dire che una parte di me è ancora in quel libro e ci resterà sempre. Questo libro è diventato uno di quei libri che rileggo quando sono giù di morale, quando sento il bisogno fisico di essere coccolata e abbracciata dalla magia di un mondo che mi ha fatto emozionare.

Nel caso in cui non ve ne freghi una ceppa vi interessi solo del mio sproloquio sul libro, andate dopo l’immagine e troverete quello che cercate.

Mi sono sempre definita una classicista mancata, e infatti frequentare il liceo linguistico non rientrava tra i miei progetti; la mia scelta era sempre stata chiara – così come lo era quello che voglio diventare – e quindi le mie due opzioni erano il liceo classico o il liceo scientifico. Col liceo classico sentivo una particolare affinità perché mio nonno buonanima, l’uomo che mi ha fatto appassionare alla lettura (e che ha scelto il mio nome: viene da una poesia), con tutto che si era dapprima fermato alla quinta elementare, una volta tornato in Italia perché aveva lavorato all’estero, grazie alle scuole serali è arrivato a diplomarsi. Al liceo classico. Essendo la persona per me più importante ed espressione vivente del “se ti metti con impegno raggiungi qualsiasi risultato”, mi sarebbe piaciuto sentirmi più vicina a lui, anche perché lo avevo perduto da poco.

Per una serie di ragioni – tra cui quella di mia madre che diceva “il liceo di quel paese no perché c’è un giro assurdo di delinquenza” – ecco che mi ritrovai al liceo linguistico. Al di là della classe (il motivo per cui ho odiato i tredici anni di scuola al paesino, erano le persone che mi riportavo dietro dalla prima elementare e dalla prima media), mi sono trovata benissimo parlando dei miei studi; ho imparato un’altra lingua oltre a quelle che conoscevo studiandole assieme al nonno e ho potuto viaggiare all’estero praticamente pagandomi solo le spese personali (in qualche ambito la meritocrazia funzionava) e ho visitato posti che mi hanno rubato il cuore. Per il resto, non vedevo l’ora di andarmene per non vedere quelle facce di culo, e va be’.

Questo però non mi ha impedito di amare con tutta me stessa il latino (lo amo tuttora che sono trapiantata in una facoltà che pare non dare spazio a qualsiasi cosa che rechi scritto sulla fronte “arte”), l’epica classica, la mitologia, il teatro… grazie alla prof di italiano e latino mi sono appassionata anche alla letteratura greca perché quando ci spiegava quella latina faceva i rimandi a quella greca. Mio nonno mi aveva fatto amare i miti greci e quello fu l’inizio della fine. La prof mi regalò un libro di miti greci e il Mammut col corpus delle tragedie greche oltre ad alcuni libri di grammatica di greco. Ho imparato qualcosina da sola e devo dire che già capire l’etimologia delle parole a medicina mi sta servendo alla grandissima.

Mi era stato parlato benissimo di questo libro e io che sono una poveretta che fa spese oculate (e che si fa regalare alle feste sempre e solo gift card) ho dovuto aspettare parecchio prima di comprarlo, ma ne è valsa davvero la pena.
Imbarchiamoci dunque su quanto ho da dire, ma per prima cosa vi lascio il link al blog e alla pagina Facebook della scrittrice, se desiderate conoscerla meglio.

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Titolo: Regina di Fiori e Radici
Autore: Laura Mac Lem
Editore: Autopubblicato
Data di Pubblicazione: 2015
Pagine: 264
Formato e Prezzo: ebook €3,99/cartaceo €10,31

Per la trama, questa volta vorrei usare direttamente ciò che abbiamo in quarta di copertina. Qualsiasi altra parola è superflua.

“Quasi nulla di quello che è stato detto riguarda me, nonostante sia la mia storia.
Si è narrato della passione di mio marito, della disperazione di mia madre, della decisione di mio padre. Si è parlato della sofferenza dei mortali e dei riti che da allora vengono compiuti, per far sì che ciò che accadde non debba mai più ripetersi. Si sono narrate storie parallale e storie contrastanti, si ricordano particolari suggestivi, ma di ciò che riguarda me, di ciò che accadde a me, sembra si conosca ben poco.
Eppure è la mia storia.
Non è la storia di Ade, il signore dell’Oltretomba, delle anime dei defunti e di tutto ciò che cresce nel sottosuolo; non è la storia di Demetra, la Madre Terra che errò nel mondo alla ricerca della sua unica figlia, scomparsa nella tenebra di Erebo; e, certamente, non è la storia di Zeus, che permise tutto ciò avvenisse, finché i mortali non gli ricordarono, attraverso la loro mortalità, ciò che doveva fare. In questa storia ci sono anche loro, ma non è la loro storia.
È la mia.
La storia della dea della primavera e regina dell’Averno, contesa tra due mondi, finché la contesa non mi obbligò a compiere la mia scelta.
Quasi nulla si sa di ciò che significò, per tutti. Eppure rese il mondo ciò che è.
Perché io sono regina di fiori e radici.
Io sono Persefone”.

Il consiglio musicale: Respiro Avido dei Folkstone. Sarebbe troppo banale dire che mi è scattato il rimando sentendo il verso “chiedo alla vita troppo/forse la falce risponderà” pensando ad Ade, e infatti non è questo non è il motivo per cui ho pensato a questa canzone.
Tra quelle parole e quelle note si percepisce una gran forza e la canzone mi appare un inno al coraggio, lo stesso coraggio che Persefone ha e che scopre di avere, perché “fuoco divampa dentro lei” (cambiamo il pronome della canzone): lei non resta “ferma ad aspettare un segno”, ma prende in mano la sua vita, con tutta se stessa. “Dentro profonde oscurità, la vera anima”, e noi leggiamo dell’anima di Persefone, ascoltandola davvero.

La recensione: parto col dire che, sebbene la vicenda sia nota, la scrittrice si è presa la libertà di utilizzare e riadattare la mitologia e il mito stesso a suo piacimento. Non lo nega di certo – cosa che ho tanto apprezzato – e io non vi starò a dire variazioni e invenzioni, perché potrei rovinare la sorpresa della lettura, me ne guardo bene dal farlo. Il mito viene ripreso con fedeltà, ma l’ottica è originale e autentica, davvero pregevole.

La me amante della mitologia ha sempre pensato che i miti e le storie che ci vengono tramandate sono stati concepiti e raccolti secondo la mentalità dominante del tempo e la condizione femminile del tempo è abbastanza palese, non ci giriamo intorno. Quello che però mi ero sempre chiesta, parlando del mito di Ade e Persefone – specie facendo il paragone con Zeus, alias mister-non-so-tenerlo-nelle-brache – è che lui non mi era mai sembrato uno “alla Zeus”, che avesse avuto altra donna se non lei. Persefone era la sua regina, la sua sposa, una donna che è sua pari, quindi per me la storia del rapimento con la conseguente versione dei fatti di Persefone intesa come “povera fanciulla ingenua, ti sei fatta rapire e poi passivamente accetti anche i patti degli dei” non ha mai retto. Certo, il gesto del rapimento c’è stato, ma era il resto che non mi era mai quadrato: troppo semplice, troppo scontato e troppo triste per una donna, insomma.
Ade poi regnava con saggezza e non stava a scocciare gli altri nel mondo dei vivi, stando bellamente alla larga da questa o quella scaramuccia dell’Olimpo e sulla terra, quindi qualcos’altro sotto c’era secondo me.

E con Regina di fiori e radici ho gongolato, perché ho trovato quel tanto altro che mi ero spesso immaginata e a cui per tanti anni ho pensato e che non ha deluso le mie aspettative.

Laura Mac Lem ha dato una caratterizzazione del tutto personale a personaggi più e meno noti della mitologia, e questa personalizzazione li rende tanto umani, con pregi e difetti. Le divinità greche per prime avevano connotati umani e in questo libro non puoi non notare quanto siano davvero vivi e tanto simili a noi.

La me fangirl ha saltellato un pochino nel ritrovarmi un Ercole idiota, segno che forse la mia teoria sulla stupidità – che reputo una malattia sia genetica sia multifattoriale e legata all’ambiente circostante – sia davvero valida, dovevo dirlo; anche dopo aver letto Euripide (leggete la tragedia!), mi è rimasta quest’immagine.
Ho tanto amato l’inserimento di Orfeo e di Euridice, uno di quei miti che mi ha sempre commossa.

Rivivere il mito attraverso gli occhi di Persefone è uno dei punti di forza del romanzo, oltre che di originalità. Lei era il personaggio che nel mito non aveva voce, il personaggio che veniva definito come in balia degli eventi decisi da altri, a cui lei acconsentiva senza poter dire la sua.
Qui, invece, la situazione si ribalta: Persefone pensa, parla, agisce, e noi riusciamo a sentirla appieno. La sua voce, per troppo tempo negata, adesso è presente e viva, e resta impressa, come a volerci far capire che per troppi secoli ha taciuto, ma adesso basta: reclama il suo spazio, e noi ascoltiamo la sua versione dei fatti, mentre io dico “finalmente, non aspettavo altro”.

Con gli anni ho perso l’abitudine a leggere libri narrati in prima persona e quei pochi che ho letto in questi anni più recenti mi hanno sempre lasciato l’amaro in bocca perché uno dei rischi della prima persona è quello di dire tante cose che rimandano alle impressioni del protagonista, ricevendo dettagli che non servono, mentre la trama e gli avvenimenti salienti restano non molto definiti, un po’ come se in una stanza buia si vedessero solo alcune lucine che illuminano dei – non tutti – soprammobili, e tu vorresti orientarti nella stanza, per prima cosa.
In questo caso, invece, la prima persona è perfettamente adatta al contesto, ma non solo, non sfocia in piccolezze inutili, restando quindi ancorati alla vicenda, con un linguaggio particolare – descrittivo ed evocativo al contempo con parole scelte con attenzione – che rievoca il mito e rimanda anche alla nostra epoca, regalandoci una Persefone moderna, una vera protagonista, sia della sua vita sia degli avvenimenti narrati.

L’immagine che si ha di Persefone – almeno all’inizio, come se si volesse dapprima mostrare quella che ci è stata tramandata – è quella di una giovane tenera e dolce, simile a una bambolina, mentre sua madre è solida e forte, così come le sue sorelle, più incisive rispetto a lei. Lei è la ragazza con cui si riesce ad andare d’accordo, il cui carattere porta a mitigare quelli più “tosti”. La sua figura mite e placida si sposa bene con i fiori, con la primavera, il cui tepore e la cui dolcezza riescono a scaldare gli animi delle persone.
Ma Persefone non è solo questo, affatto: ridursi a definirla così sarebbe semplicistico, oltre che errato.

Il titolo parla chiaro: Persefone sa che i fiori per vivere hanno bisogno della luce del sole, ma essi esistono anche nel sottosuolo, laddove le radici dimorano e senza di esse nulla può sbocciare.
Persefone sa cosa fare, non è la ragazzina ingenua che crede a tutto e si lascia trasportare dagli eventi come una canna al vento. È una dea, ed è una donna, che reclama ciò che desidera, con coraggio e volontà. È una testa pensante e non si lascia calpestare da nessuno: ci racconta delle scelte che lei ha compiuto, non delle imposizioni che ha dovuto subire. Nessuno decide per lei, né sua madre, né suo padre, né suo marito. Persefone è la donna – ancor prima di essere dea – che chiede che le si venga attribuita la piena consapevolezza delle sue azioni, perché capace di discernere; nessuno pensa mai a chiedere cosa desideri lei o cosa pensi al riguardo di questo o quello, e Persefone non ci sta. Non desidera affatto adeguarsi alle decisioni prese dagli altri, al di là del fatto se si voglia o meno il suo bene. L’amore che si nutre per le persone care non vuol dire che debba renderci dei burattini nelle loro mani; alla fine Persefone dice basta e lo fa con una forza tale che non puoi non esultare per lei e con lei.

In questa storia abbiamo la crescita di Persefone, una donna che prende coscienza di sé, del proprio potere, del proprio posto nel mondo. È la voce di una donna che si ribella alle imposizioni, una donna che non ha paura di dire la sua – e non vedo perché dovrebbe –, una donna che ci racconta la sua storia in prima persona.

Ade è, l’altro personaggio principale e per molti versi appare l’opposto di Persefone, ma anche di tutti gli altri che vedono la dea come una ragazzina, mentre lui la tratta da adulta. Anche lui, come la sua sposa, tende a essere un personaggio – sebbene sia il dio di uno dei tre regni – il cui parere non venga molto preso in considerazione.
Egli è austero, duro, giusto e implacabile, ma per quanto possa esser dipinto come freddo e distante, ama davvero sua moglie, con tutto che l’abbia rapita.

Non abbiamo una sindrome di Stoccolma, cosa per cui ringrazio con tutta me stessa – ho assistito troppe volte alla lettura di “robe” che tentano di far passare per “ammmore” quello che non lo è –, ma qui abbiamo la resa di un rapporto per nulla facile, che si sviluppa col tempo, fatto di gesti, che sono quelli che più contano in una relazione.
Rendere per bene il tutto non sarà stato facile, considerando il fatto che il rapimento c’è stato, ciò nonostante il sentimento ha messo radici sin da prima di quell’avvenimento, e non ringrazierò mai abbastanza la scrittrice per averci regalato una relazione che necessita del suo tempo per evolvere, così come leggiamo dell’evoluzione di Persefone stessa, che si ritrova a vivere in un regno a lei ignoto, in cui almeno all’inizio si sente come un pesce fuor d’acqua, per poi capire bene la situazione e vivere la relazione col suo sposo, non senza mancare di dire la sua.

Questo libro mi ha dato davvero tanto e non è un caso che ne parli ora, alla terza rilettura – in estate tendo sempre a rileggere libri che amo – perché sentivo la necessità di rituffarmi tra queste pagine che tanto mi hanno coinvolta e accompagnata in un momento in cui mi risulta difficile dire che amo leggere, che amo tutto ciò che è classico, perché – almeno in questo mondo che risulta essere per me la facoltà di medicina – se ami leggere vieni visto non come uno sfigato, ma peggio, come una persona di cui farsi beffe perché “leggere non è importante, non serve a niente”.
La storia di Persefone raccontata da Laura Mac Lem è uno dei miei memento che mi permette di ricordare che sono io l’unica persona che può scegliere della e sulla mia vita, in piena libertà e consapevolezza e oggi sentivo di unire la mia voce a quella della dea, che non possiamo far altro che dire grazie alla scrittrice.

“Harry Potter and the Cursed Child”: perché?

*Attenzione: contiene spoiler, che verranno comunque segnalati*

Una premessa è necessaria: non sono una di quelle persone che ama demolire le cose per cattiveria o perché desidera litigare con le persone che invece apprezzano un dato prodotto, e ciò vale anche per questo libro.

Non ho mai fatto mistero del fatto che a me la saga del maghetto non sia piaciuta, ma ammetto che il mio “non gradimento” è diventato col tempo un odio, non per la saga in sé o per la scrittrice (come in molti mi hanno accusata), ma per la fanbase che, per quanto io sia stata sempre educata e composta nel dire perché e percome non mi piacesse, mi ha attaccata selvaggiamente. Tuttora oggi, a quasi venticinque anni, ho paura – sì, avete capito bene, paura, e non sto scherzando – a dire che non ho amato la saga, perché il rispetto della persona che parla può non pervenire affatto e ho subito fin troppi attacchi nella mia vita che mi hanno segnata e ferita, al punto da pensare anni addietro “che senso ha avere un’opinione se poi quando la dici ti fucilano perché devi pensarla per forza come il tuo interlocutore?”. Sicuramente, se non mi fossero capitate queste brutte esperienze, oggi non sarebbe così; va da sé che non sto generalizzando, anche perché ho incontrato fan con cui posso parlare civilmente e ho tra gli amici (anche quelli più fidati) persone che amano la saga, ma le offese e le brutte parole non si cancellano facilmente, e qui viene spontaneo dire che è molto facile essere “Charlì” (scritto così), col culo degli altri, però.

Potreste chiedervi perché allora io sia qui a parlarvene, cosa assai legittima, e vi rispondo con sincerità: la mia curiosità.

Non essere fan di qualcosa non implica il voler scansare tutto a prescindere, ma se si vuole, ci si può avvicinare a qualcosa ed eventualmente dire la propria. Ammetto che la curiosità con me la fa da padrona e leggere e sentire il disappunto dei miei amici mi ha lasciato perplessa, ma è stato soprattutto il modo per farmi dire “non posso saperlo a mia se non leggo e vedo in prima persona di cosa si sta parlando”.

Ed eccomi qui, dopo aver letto la storia e dopo essermi anche informata su qualcosa che avrei potuto non sapere, perché è più forte di me: ci tengo a essere sempre esaustiva.

Cercherò di non fare spoiler, e nel caso dovessi farne perché mi serve per dire qualcosa in particolare lo segnalerò, sebbene ritenga che chiunque abbia letto nei mesi scorsi la trama sappia già quasi tutto, dato che posso dirlo senza problemi: “Everything you’ve heard? Completely true”, per riprendere una citazione di un personaggio che adoro.

La domanda fondamentale per me è: “perché”?

Sto cercando di trovare serie motivazioni a questa storia, ma non ne riesco a trovare nessuna plausibile. Lo dico perché, col cuore in mano, mi sento tanto vicina ai fan che stanno piangendo sangue sin da quando hanno saputo i primi rumors della storia; adesso che anche io ho avuto modo di toccare con mano il tutto, voglio dire che coerenza, coesione, personaggi, trama e resa complessiva si sono presi per mano e sono andati in vacanza alle Fiji.

Per chi se lo stesse chiedendo: no, non godo affatto di questo orrore, credetemi.

The Cursed Child è una pièce teatrale, quindi ciò che si legge nel volume non è stato concepito per essere un libro e la struttura di botta e risposta lo attesta chiaramente, mentre ci sono le note dei luoghi e dei gesti che i personaggi compiono. Si tratta dunque del copione dello spettacolo che è stato distribuito sotto forma di libro.

A tal proposito, mi sento di dire una cosa: i mezzi – carta e palcoscenico – sono diversi, e sicuramente vedere l’opera a teatro fa un altro effetto, ma non mi pare ci siano i filmati dello spettacolo per poter giudicare direttamente, e non c’è nulla di male nel leggere il copione, farsi un’idea dalla lettura ed eventualmente fare una critica, al di là del fatto se si ha avuto l’occasione di vederlo dal vivo. Si ha il pieno diritto di farlo. Del resto, se non si avesse avuto intenzione di permettere la lettura del copione, non sarebbe stato pubblicato.

Il fatto che X sia un’opera da recitare non pregiudica di per sé la buona riuscita del tutto (e lo dico da amante del teatro: Look back in Anger e Waiting for Godot sono due delle mie pièces – discretamente recenti – preferite), e lungi da me anche solo pensarlo, ma in questo caso, se dovessi essere lapidaria, direi tre semplici parole:

1) “fanservice per fanminkia”;

2) “macchina raccatta quattrini”, se la vogliamo mettere sul piano più venale;

3) “fyccina senza senso”, anche se qui bastava già la prima parola.

Mettiamo assieme le tre definizioni e otteniamo l’espressione più calzante.

Per “fanminkia” intendo quei fan che si esaltano senza notare l’evidenza oggettiva della qualità assente del prodotto, spacciandolo come capolavoro.

Lo dico da una vita: può piacerti qualsiasi cosa, ma il tuo gradimento soggettivo non deve inficiare la verità oggettiva dei fatti al punto da non far vedere quest’ultima. Su questo non posso e voglio transigere.

La Rowling ha affermato che le vicende narrate in The Cursed Child sono canon (per chi non lo sapesse – non vi faccio scemi, ma io non so se chi leggerà questo sproloquio lo sa o meno – vuol dire che gli accaduti di questa o quella storia sono ufficialmente confermati dall’autore) e questo comporta che l’opera è un vero e proprio seguito della saga, quindi che piaccia o meno tutto quello che accade lì è valido come prosecuzione.

Partiamo dalla trama (“perché, ne abbiamo una?” → voce del coro), ma prima faccio un’altra premessa: per l’occasione ritornano le gif e i meme con Tina. Da buona amante del trash, mi sa che questo è un buon momento per utilizzarle.

I protagonisti della storia sono Albus Severus Potter e Scorpius Malfoy che, oltre a finire entrambi a Serpeverde, diventano anche migliori amici. Rose Granger-Weasley entra invece a Grifondoro, e non è un caso che abbia inserito lei come soggetto in un’altra frase separata dai primi due: lei è talmente marginale che sì appare, ma non è affatto presente nella storia in sé. Il tutto ruota attorno a un viaggio nel tempo compiuto grazie a una Giratempo (e la prima domanda è: non erano state tutte distrutte?) per riuscire a salvare Cedric Diggory, impedendone la morte. A questo viaggio se ne aggiungeranno altri per poter rimediare agli errori commessi nel primo, causando tuttavia altri danni sempre più disastrosi, e ci vengono così presentate varie situazioni a seconda di ciò che viene cambiato nel passato e nel modo in cui ciò è mutato.

Ammetto che, a mano a mano che proseguivo nella lettura, la voce di Emmett Brown di non cambiare il corso degli eventi si faceva sentire sempre di più nella mia testa, e credo che una padellata in testa ai due Doc l’avrebbe data, e forse non solo una.

Meriterebbero il “premio nobbile” per il nonsense delle loro azioni, sul serio. E altre padellate, o magari il piombo dei libici – chi conosce Ritorno al futuro sa.

Il tempo della storia – al di là dei viaggi nel tempo – è abbastanza ampio, visto che le vicende narrate non durano un unico anno ad Hogwarts dei protagonisti (a differenza di come siamo stati abituati nei sette libri della saga), mentre il tempo del racconto è più breve rispetto al primo e sicuramente una ragione deriva dal fatto che si parla di un’opera teatrale, ma durante la lettura il senso di disorientamento è abbastanza comprensibile.

Gli eventi si succedono con una velocità tale che non ci permette di concentrarci né sulla storia in sé – visto che più si è dentro la storia (ma si può entrare in una storia che tutto sommato non ha nulla e la cui trama zoppica?) e più diventano grandi le lettere che dicono WTF – né sui loro personaggi, la loro caratterizzazione e le motivazioni che li spingono a comportarsi in una data maniera.

I personaggi sono un tasto davvero dolente e paiono degli emeriti pali nel culo (è l’unico modo per poterlo dire rendendo bene l’immagine), senza considerare il loro modo di comportarsi che non ha giustificazione alcuna.

Immaginate Harry, che non ha mai conosciuto i suoi genitori e potuto godere del loro affetto, avere degli scatti da pessimo padre che si mette a dire ad Albus “alle volte non vorrei essere tuo padre” oppure dire a una certa persona “sarai per sempre un’orfana”.

Harry, hai battuto la testa da qualche parte e sei diventato un idiota patentato (l’adolescenza l’hai passata da un pezzo) oppure sei stato mosso come personaggio da persone che ti hanno reso OOC allo stato patologico?

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E tu, Albus, tuo padre ti regala l’unico oggetto che ha come ricordo di sua madre, e cosa fai? Gli inveisci contro?

Si capisce lontano un miglio che sei stato dipinto come l’anti-Harry, ma la stronzaggine che hai è davvero incommensurabile.

Con Albus si crea il gioco degli opposti rispetto a Harry: finisce a Serpeverde, non sa giocare a Quidditch, e fa amicizia con Scorpius Malfoy, laddove i padri non si potevano proprio sopportare. Di per contro, Scorpius appare la copia mal riuscita di Ron, perché tra i due è quello più spiritoso; le battute di Ron sono memorabili, ma Scorpius non è all’altezza dello spirito di Ron, con la conseguenza che la sua caratterizzazione sia più blanda che mai.

Posso capire che si è cercato di dare l’input per Albus che l’avere un cognome importante (oltre che due nomi belli pesanti sulle spalle – qui si va sul pesante, come direbbe Marty McFly) ed essere il figlio di Harry Potter non deve essere affatto facile, portandolo anche a ribellarsi e a essere in forte disaccordo col padre – è adolescente, è abbastanza plausibile – ma nel personaggio di Albus si legge un odio che non viene motivato davvero, e le ragioni che vengono lasciate intendere restano troppo superficiali, non permettendo di avere un personaggio ben costruito.

E quindi io devo dire una cosa:

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Parlando del rapporto che hanno Albus e Scorpius mi sorge un dubbio che sintetizzo in una domanda: si tratta di queerbaiting che strizza l’occhio alla Draco/Harry o un calco dell’amicizia tra James e Sirius (che proveniva da una famiglia di altolocati snob)? Ciò non toglie che, in entrambi i casi, sia fanservice, ma fatto male, specie nel secondo caso, perché se da un lato la motivazione dei Black – per come erano i membri della famiglia – di ostracizzare i comportamenti di Sirius aveva senso (per quanto non reputi condivisibili nessun loro motivo), Rose che si mette a dire ad Albus di non parlare con Scorpius perché “è quello là” mi è a dir poco ridicolo. La figlia di Hermione, la stessa persona che si batteva per i diritti degli elfi domestici che ragionava con la propria testa, si mette a dire una cosa del genere? È assolutamente insensato.

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Altro fanservice che rimanda alle ship fanon (il contrario di canon) lo abbiamo quando Draco dice una frase che suona così: “potrebbe farmi piacere prendere ordini da Hermione Granger.”

Che dire? In tutt’onestà, parlando di ship nel mondo di Harry Potter, ne avevo una sola ed è naufragata miseramente (parlo di Neville e Luna, una gioia mai per me), ma ho sempre immaginato Hermione né con Ron, né con Harry, né con Draco, ma con qualcun altro conosciuto in età adulta, magari nemmeno del mondo magico, ma che è appassionato di magia e che quindi non le affibbia etichette, che la apprezzi per quello che è, rispettandola… insomma, avevo questo headcanon che tale è rimasto.

Questa battuta di Draco che rimanda alla Dramione mi ha urtata parecchio perché – al di là della ship, non è quello il problema, perché non faccio bashing sulle coppie – detta così su due piedi risulta parecchio OOC. Draco non avrebbe mai detto una cosa del genere, non senza una particolare evoluzione del personaggio che qui non abbiamo. Ho letto fanfiction Dramione molto, molto ben concepite, che permettono lo sviluppo della coppia e sicuramente non così.

Ehi, sceneggiatori, è un modo per ammiccare ai fan che amano questo e quello? È un’opera per i fan che possono veder realizzate le cose che il canon non dava? E la credibilità dei personaggi, il loro trascorso, il loro IC, dove li mettiamo?

Non devo dire poi che ci troviamo davanti una fyccina?

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Vorrei soffermarmi un attimino a parlare di Hermione. Non ho mai nascosto che si tratti di un personaggio in cui non mi immedesimo, ma mi è venuto un mancamento per come è stata trattata in questa pièce. No, non mi riferisco alla carnagione dell’attrice che la interpreta – a teatro le cose funzionano diversamente che al cinema, tra le altre cose – quanto più alla sua persona. Per me non è uno spoiler, perché questo personaggio compare nello spettacolo, quindi si capisce che a causa dei viaggi temporali non muore,  ma lo segnalo ugualmente.

Con Cedric salvo, Hermione non si sposa con Ron, ma non diventa nemmeno Ministra della Magia? Ma siamo seri? Ho avuto modo di dire qui perché e percome non mi piaccia Hermione, ma ho sempre pensato che fosse un personaggio che non ha mai avuto bisogno di un uomo affianco per esser realizzata e felice. E senza Ron me la fate diventare un’insegnante acidona e zitella, frustrata al massimo?

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Intanto Ron – nell’universo alternativo – viene accoppiato a Padma. Ma dico io, manco a Lavanda, che era già forse più plausibile?

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E qui parliamo del giovanotto citato su: Cedric che diventa un Mangiamorte? Sì, e io sono bionda platino allora!

Cedric era quel ragazzo che voleva rigiocare la partita in cui Harry era caduto perché non la considerava valida e che difendeva Harry dagli attacchi che subiva; com’è possibile che per una figura barbina egli diventi Mangiamorte e uccida Neville? Una pubblica umiliazione è davvero un motivo così valido da permettere un cambiamento così marcato? Doveva esserci il riscatto dei Tassorosso in quest’opera: io non l’ho visto.

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Ritornando al discorso della certa persona che ho citato prima, inseriamo dapprima questo brano per creare suspense; ascoltiamola, facciamo un bel respiro profondo, e preparatevi a questo spoiler che spoiler non è se avevate già letto i fatti anzitempo. Se non volete saperlo, saltate direttamente alle parole che vedrete sotto l’altra Tina; non dite che non vi ho avvisati.

La voce che vede confermata la presenza della figlia di Voldemort è vera, è tutta vera. A tal proposito, inseriamo anche questo pezzo, ché male non fa. La sua identità è scontata, si capisce dalla prima apparizione in scena del personaggio, ma non è nemmeno quello a lasciare perplessi (anche se ho un dubbio che vi proporrò subito dopo), quanto più le motivazioni che lei ha per voler interagire con Voldemort ovvero “per poterlo conoscere”.

Ma qui io dovrei piangere? Dovrei commuovermi? A me vien solo da dire: ma ti sembra una ragione sufficiente per sminchiare così tutto il mondo come lo si conosce? Che razza di villain sei? Sì, quello di una fyccina che viene messo a caso e compie azioni completamente prive di fondamento.

E qui mi chiedo alcune cose, rimettendomi anche nelle vostre mani che ne saprete senz’altro più di me.

Voldemort poteva fare sesso? La sua anima è stata divisa in sette horcrux, ma aveva un pene funzionante? Il suo corpo era stato ricavato da un rituale oscuro, ma non mi pare fosse sanissimo: era emaciato, con occhi rossi “spiritati”, senza naso, e se non abbondava di naso…? Può essere possibile nell’universo di Harry Potter una cosa del genere, ovvero un’anima completamente dissociata dal corpo che invece espleta del tutto funzioni fisiologiche come le persone dotate di anima? È mai stato spiegato (magari a me sfugge)? Per quanto sia stato dichiarato che non avesse mai amato nessuno l’amore non è condizione necessaria per far sesso, quindi l’ipotesi sesso ed erede potrebbe reggere, un poco.

Facendo dei conti, Delphi è stata concepita prima degli avvenimenti del settimo libro; se mettiamo l’ipotesi che il tutto sia avvenuto durante il sesto, Harry avrebbe potuto sapere sin da quando era giovane se non della sua presenza del fatto che Voldemort volesse generare un erede?

Lui era legato a Voldemort e nel momento in cui l’uno provava emozioni forti e intense, l’altro le poteva percepire, e viceversa. Considerando anche l’ipotesi che l’esperienza del sesso in sé non sia stata piacevole per Voldemort – ma nella mia testa per Bellatrix è stato il contrario – alla fine ci sia stato comunque un orgasmo e ciò che deriva da esso è sempre un’emozione intensa, liberatoria.

Ritengo che (come mi è stato fatto notare dalla mia patatina) pensando anche a una serie di avvenimenti atti a camuffare quel determinato momento – il concepimento – come per esempio l’attacco di Nagini nei confronti di Arthur, per quanto Harry abbia avvertito questa sequenza di immagini, un’emozione così forte come l’orgasmo l’avrebbe sentita lo stesso. Forse. Oppure no? Oppure Voldemort ha usato l’occlumanzia per non far sapere a Harry della progenie? O Delphi è nata con una fecondazione magica? Perché si devono inserire cose e personaggi senza spiegarli per bene?

Delphi dice di esser stata cresciuta da Rodolphus Lestrange che, con tutto che è stato cornuto e mazziato, potrebbe aver scelto di accudire la figlia del suo Signore, perché fedele a lui, ma – nel caso in cui non sia morto dopo l’ultima battaglia – come è riuscito a scappare da Azkaban? Chi lo ha aiutato? Come minimo sarà stato imprigionato perché non credo che avrebbero lasciato a piede libero un Mangiamorte come lui, e forse era anche in una sezione di massima sicurezza. Non sappiamo se ad Azkaban ci siano ancora di Dissennatori, ma questo tipo è pericoloso, signori miei, non deve essere a piede libero!

Perché si devono inserire cose e avvenimenti senza spiegarli per bene?

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I gesti plateali di Tina non lasciano dubbi sulla mia indignazione, ma andiamo avanti.

Alcune di queste cose che dirò sono dei dubbi che ho e ben venga se mi aiutate a capire.

Perché si usa la Pozione Polisucco per cambiare le fattezze umane se si ha disponibile un incantesimo di trasfigurazione che permette di prendere le sembianze degli esseri umani? È stato “inventato” dopo ovvero post canon delle vicende dei libri? Era vietato nel passato ed è stato da poco reintrodotto? Avrebbe potuto fare la differenza nelle battaglie magiche del passato e, per quanto potesse essere illegale, non credo che per esempio i Mangiamorte si sarebbero fatti degli scrupoli nel suo uso, quindi credo che sia stata un’invenzione per lo spettacolo, ma inserito così è… meh. È l’unica parola che rende bene.

Che sia anche questo uno stratagemma (come la giratempo e tante altre cose che avrete potuto notare meglio di me) per rimandare alla vecchia saga per i nostalgici fan? Sarà che anche l’inserimento di personaggi defunti mi sa tanto di metodo per far scappare la lacrimuccia alla gente. Se solo fossero ben contestualizzati, allora sì che ci si potrebbe emozionare!

Sempre sul filone “facciamo provare a far venire il piantuccio ai fan nostalgici” – che altro non è che fanservice – , ci ritroviamo nel 1981, e Harry è costretto a rivivere l’omicidio dei suoi (era davvero necessario?), e abbiamo Hagrid solo a casa di Lily e James… ma non c’era anche Sirius lì visto che ha dato ad Hagrid la moto nel mentre che lui andava a cercare Codaliscia per vendicarsi? Perché c’è solo Hagrid? Andiamo a “Chi l’ha visto?”, ché forse nello studio sanno qualcosa che a me è sfuggito.

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Ritroviamo anche un Silente che per la prima volta in vita sua riesce a essere esplicito in un discorso, e non solo, di una banalità palese. Il mago nelle sue parole, nei suoi commenti è sempre stato molto criptico, e l’alone di mistero in gesti e parole è stato un tratto distintivo di questo personaggio, quindi non solo ritorna per l’effetto lacrimuccia, ma il suo dialogo è quanto di più melenso e pieno di cliché che non si può.

Faccio un respiro profondo ed espiro, lasciando la questione più spinosa – per me – alla fine.

Anche la comparsa di Piton reca un’insegna luminosa con su scritto “fanservice” (in che modo i cambiamenti compiuti dai due premi Nobel hanno permesso a Piton di vivere? Mistero), ma qui ci viene presentato davvero come il santo a cui urlano i fanminkia. Allora, non si può negare che sia di certo un bel personaggio, con le sue debolezze e le sue scelte discutibili, ma non è che perché amasse Lily questo suo amore lo renda necessariamente un buono.
Il suo amore è sempre sciocco e infantile, perché lui ama il ricordo della ragazza, non lei. È sempre stato colui che terrorizzava i propri studenti ed è sempre stato quello che per salvare Lily non avrebbe esitato a sacrificare sia Harry sia James. Il fatto che poi sia andato dall’altro lato della barricata contro Voldemort non pregiudica il fatto che le sue scelte siano state compiute dal senso di colpa, ma non è che si sia sempre comportato bene, anche nei confronti di Harry, in cui vedeva sempre l’ombra di James, e Lily era in lui (per Piton) se non negli occhi. Se agisci per il bene, certi atteggiamenti non sono consoni, non devono proprio esserci. Se ti unisci all’Ordine non per fare la cosa giusta, non perché concordi con gli ideali dell’Ordine, non per essere coraggioso, ma per vendicarti e uccidere chi ha ucciso la “tua” amata, non fai quelle cose per il bene superiore. Non sei un eroe.

Cito: Snape looks at him, every inch a hero, he softly smiles.

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Respira, Barbara, e lentamente espira. *Seguono una serie di improperi che non vengono riportati*

Posso dire di essere delusa da questa lettura; io non sapevo nulla degli spoiler che erano già noti ai fan e ai miei amici, quindi mi ci sono approcciata con tutta la calma e la curiosità pensando “magari sarà una bella lettura anche per me che non ne sono appassionata”.

Sono stata una povera illusa, lo ammetto, ma ci ho creduto e sperato.

Se questo doveva essere un modo per far approcciare le nuove generazioni (magari già quella dopo la mia) alla saga mandando degli hint a quella principale, lo dico: è un fallimento su tutta la linea.

Con tutto che questa non sia la saga con cui sono cresciuta e che mi ha rubato il cuore, riconosco il valore e l’impatto che essa ha avuto su delle generazioni intere, permettendo a tanti ragazzi di avvicinarsi alla lettura, a fare viaggi con la fantasia, a sentirsi parte di un universo che fa sognare, e se mi sento io presa per il culo, non oso pensare a quanto rammarico possa avere in corpo chi invece ha sempre sentito Hogwarts casa propria, sebbene possa provare a immaginarlo.

Tornare indietro nel tempo – laddove un messaggio chiave della saga era andare avanti – è stata una pessima mossa per dimostrare che non si è affatto andati avanti, riciclando idee, personaggi e contesti volti a rendere ancora più malinconici chi ancora non si capacita della parola fine messa nell’ultimo libro.

Che si ritorni dunque al principio, dove tutto è iniziato, da Harry Potter e la pietra filosofale, e santo sia il fanwriting, perché contrariamente a quanto si possa pensare, se messo in mano a persone capaci di creare trame coerenti e coese, dà storie di gran lunga migliori di queste.

Opere: come mi approccio a esse, come ne parlo e come le recensisco

Dato che ho notato nuovi iscritti sia sul canale sia sul blog (cosa per cui non ringrazierò mai abbastanza), ho pensato potesse essere un’idea carina dire delle cose che spesso potrei dare per scontate, ma se nuove persone si avvicinano a me e alle mie idee, potrebbe essere che tanto ovvie non siano.

Quindi, come dice il titolo stesso, vorrei parlarvi di come io ho a che fare con libri, fumetti, film, serie TV e chi più ha ne metta e di come poi io desidero parlarne, cosa che faccio anche su questa piattaforma.

Bene, iniziamo!

Mi risulta molto più facile scrivere in un blog che non parlare sul canale.

È la prima cosa che voglio dire (o nel caso ripetere).

La ragione è semplice: la comunicazione scritta mi è molto più congeniale; amo scrivere, e quando lo faccio riesco a ordinare meglio i pensieri rispetto a quanto farei parlando. Con questo non dico di non saper parlare a voce alta; credo di avere una buona proprietà di linguaggio per esprimere i contenuti con la forma che ritengo più adatta al momento, visto che non tutto si può e deve esprimere con lo stesso tipo di lessico. Ho un temperamento abbastanza focoso e fumantino, e quando parlo mi infiammo particolarmente, sia per quello che dico, sia per la forza e la convinzione del mio ragionamento, il che mi porta a scaldarmi; al contrario, quando scrivo, mi rilasso, lasciando emergere la parte più tranquilla e razionale. Quanto ho appena detto non implica tra le righe che mi metta a offendere a destra e manca quando parlo, affatto, ma ammetto che il mio carattere non è per nulla arrendevole e calmo.

Considerando il fatto di non avere una videocamera come si deve, il microfono di fortuna che utilizzavo distorceva parecchio la mia voce, e se la rendeva sgradevole a me in primis non oso immaginare quanto potesse dar fastidio a voi. Sì, è pur vero che tendo a essere molto autocritica, ma sono particolarmente fissata sulle voci e la mia, nel parlato senza registrazioni, è molto più gradevole.

Tutto ciò che nasce dalla fantasia per me è un’opera di fantasia.

Quando parlo di opera, in questo caso, mi riferisco a tutto ciò che viene prodotto dalla fantasia umana. Se poi si tratti di un’opera di buona qualità o pessima, questo è un discorso che esula da quello che dico in questo momento. Con “opera” non intendo il “capolavoro”, per intendersi. Credo che sia una questione importante, perché l’equivoco è sempre dietro l’angolo.

Non mi ritengo una guru e quello che dico non è una verità universale.

Penso sia ovvio, ma talmente ovvio che occorre ripeterlo: mi rendo conto che più le cose possono essere per me scontate, più per qualcun altro potrebbe non esserlo. Quello che dico sono sempre sproloqui derivati dal mio approccio a un’opera, assieme ai miei ragionamenti derivati dalla stessa e dalle informazioni che ricavo leggendo oltre a quelli derivati dagli approfondimenti per conto mio e dalle mie esperienze. Tutto questo concorre a darmi un’idea – credo – ampia di ciò che poi voglio condividere, esponendo tutto quello che ho da dire. Non la si deve pensare per forza come me, ci mancherebbe!

Fa piacere se qualcuno concorda, ma fa molto più piacere se pur non concordando si crea uno scambio di idee pacifico e costruttivo. Non è una cosa strana, accade davvero.

Quando dico qualcosa in una recensione non voglio convincere nessuno a pensarla come me su un libro/film/serie, come anche quando parlo di questioni più serie, ma nel caso in cui mi ritrovi davanti a delle immani e oggettive porcate che non stanno né in cielo né in terra dette dalle persone allora mi arrabbio, specie se parlo di faccende importanti, come le mie considerazioni sul femminismo o sulle questioni mediche.

Potete dirmi senza problemi che amate Harry Potter e non dico nulla con tutto che io lo detesto, ma se dite che una donna si è meritata di esser stuprata per via del suo abbigliamento allora vi stacco la testa a morsi, tanto per capirsi.

In virtù di cui sopra quello che io pretendo è il rispetto: come io lo do, allo stesso modo mi aspetto di riceverlo e se non perviene non esiste che io abbia un dialogo con chi non mi rispetta.

Motivo sempre quello che dico e dapprima mi informo.

Una cosa che non mi appartiene è l’odio a pelle, allo stesso modo la simpatia a pelle: qualunque sia una sensazione viscerale da me provata, sento la necessità di trovare razionalmente una ragione a quello che ho sentito, confermando o eventualmente smentendo la prima impressione. Sono sempre riuscita in questa cosa, ed è una piccola fonte di orgoglio personale, in tutt’onestà.

Amo conoscere, e sono di natura una persona molto curiosa e quando non so qualcosa cerco sempre di informarmi, cercando fonti affidabili, dato che la cattiva informazione – per certi versi più dannosa della disinformazione, anche se per me anche questa non ha ragione d’essere e non vale il “se non mi interessa non mi informo” perché se non ti informi non puoi dire se una cosa ti interessa o meno – è un cancro.

E no, non mi scuso per aver usato la parola cancro, lo dico con cognizione di causa: l’ignoranza mette radici come le cellule tumorali, può attecchire a largo spettro anche in lidi diversi rispetto a quelle in cui era nata e le conseguenze possono essere devastanti, addirittura mortali, basta pensare a tutto quello che succede nel mondo, se proprio vogliamo restare nella nostra realtà più prossima.

Non accadrà mai che io affermi qualcosa senza dare la motivazione di quanto dico, e questa sarà quanto più oggettiva possibile, oltre che informata.

Quando, per esempio, “conosco” uno scrittore nuovo cerco sempre di saperne di più, non mi limito a leggere il libro e vedere cosa mi lascia; quello è solo una parte del tutto.

Una massima di Harlan Ellison esplica chiaramente quello che voglio dire e lascio dire a lui tutto, perché non servono altre parole: “Non hai diritto alla tua opinione. Hai diritto alla tua opinione informata. Nessuno ha il diritto di essere ignorante.”

Ne ho fatto la mia filosofia di vita.

Quando mi informo su qualcosa non chiedo informazioni agli altri, ma solo le loro impressioni.

Questa è una cosa che mi riservo di fare successivamente. Quello che mi piace sapere sono i pareri delle persone, mentre la curiosità di sapere di cosa si tratta X o di cosa parla deve venire da me. Se per esempio uno dei miei amici su faccialibro sta leggendo il libro X, vado su internet e mi cerco di cosa parla, almeno per ciò che concerne la trama. Non mi va proprio di pesare sulle persone e sono parecchio orgogliosa, quindi faccio da me. Allo stesso modo non mi piace fare il riassunto; trovo che sia pigrizia. La trama si può ricercare senza problemi sul web, a me piacerebbe parlare di altro, ovvero di cosa mi sta piacendo e cosa non mi sta piacendo. Quando si cerca una trama online è facile incappare negli spoiler; personalmente a me non danno fastidio perché un conto è sapere la cosa quando ti ci informi, un conto è arrivare alla scena “incriminata” quando leggi un libro o vedi qualcosa, con le tue emozioni e le tue sensazioni. Non perdo la voglia di procedere per conto mio anche se so cosa accadrà. Ma questa sono io, quindi quello che dico, come sempre, del resto, vale uno, e non pretendo certo che si faccia obbligatoriamente come dico io, non lo penso nemmeno lontanamente!

Parlando di spoiler quando ci si informa credo però che possano esser facilmente evitati: se vado su Wikipedia è normale trovare il mondo lì sopra, dato che essendo nata come enciclopedia ha uno scopo divulgativo e deve essere completa; se vado su siti dove si possono acquistare libri o altro non si trova lo spoiler.

Per rispetto degli altri, persino nelle recensioni tendo a non fare spoiler; in caso fosse necessario per dire qualcosa lo segnalo preventivamente; quello che ora vi chiedo, a tal proposito, è: cosa considerate spoiler? Come lo considerate anche rispetto a opere di uscita non recente?

Consiglio sempre tutto, anche le opere che non mi sono piaciute.

E vi dirò di più: consiglio soprattutto quello che non ho gradito.

Qui potreste dire “ma che stai dicendo?”, eppure è ciò che penso. Sono del parere che per avere un pensiero su qualcosa è necessario averci a che fare di persona e se io dico che quel libro è bello, mi ha lasciato indifferente/perplessa o mi ha fatto schifo, a parte motivare il tutto con tutta l’oggettività che mi è propria e che mi è possibile avere, dico comunque “te lo consiglio”. Questo deriva dal fatto che spesso si apprezza o meno qualcosa anche per fattori soggettivi e io non me la sento proprio di dire “non ho amato questo, questo e quest’altro e quindi dico no per tutti”; io non so se all’altra persona che mi legge/ascolta può invece piacere quello che non ho gradito io.

Per quanto possa conoscere qualcuno e sapere anche i suoi gusti, reputo il toccare con mano qualcosa sempre la cosa migliore, perché – faccio un esempio – se una persona in quel momento cerca una lettura per nulla impegnata e impegnativa e le va bene anche una ciofeca che a me ha fatto letteralmente cacare (ops, ne parliamo al prossimo punto) potrei impedirle di dilettarsi un attimo e di trovare l’evasione che cerca (ne parliamo tra due punti).

Con questo non dico che chi si fida del parere di qualcuno che conosce i gusti dell’altro faccia bene o male a non voler constatare di persona, ognuno è libero di fare come meglio ritiene opportuno, anche parlando di come investire il proprio tempo, ma per onestà intellettuale e per restare coerente con me stessa, dirò sempre cosa mi è piaciuto, cosa no, cosa ho amato, cosa ho odiato, cosa mi ha lasciato indifferente, aggiungendo il “ve lo consiglio sempre e comunque”.

Rivendico il diritto di dire che se una cosa mi fa schifo… mi fa schifo e basta, senza giri di parole.

Ritengo che le emozioni e i loro spettri siano tanti (direi vasti, per la precisione) e se amiamo un qualcosa con tutto il cuore, allo stesso modo possiamo odiare – non sono una buonista, quindi per me l’odio è possibile e reale – qualcosa, quindi se ci piace qualcosa con l’intensità di mille soli allora si può schifare nella stessa ed esatta maniera.

Per me l’indifferenza è la cosa peggiore perché vuol dire che la determinata opera non è riuscita nemmeno a fare breccia nel cuore e nella mente di chi ci si approccia alla stessa.

Dire che una cosa “fa schifo” non è un’offesa verso chi ha prodotto la tale opera (anche se ritengo che l’autore abbia offeso chi la legge/vede, ma dipende da quanto e quale sia lo schifo) e non è una cosa maleducata da dire: non si sta offendendo nessuno.

Se io dico “le cinquanta fognature mi fanno cacare a spruzzo” – va bene, ho sparato sulla croce rossa, mi rendo conto – non è che io dico “la James è una troia”; sono due cose totalmente diverse. La prima è legittima, la seconda no, perché offendi la persona che a parte aver scritto una merdata cosmica a te non ha fatto nulla: non ti ha rubato nulla non pagando le tasse, non ha ucciso nessuno, ecc.

Per questo dico che voglio rivendicare il diritto a dire che qualcosa fa schifo, e allo stesso modo tutti. Purché lo schifo sia motivato. E beh, sarebbe troppo facile altrimenti.

Con me ognuno ha il diritto di leggere ciò che gli pare e non sarà schifato come persona per quello che legge.

Abbiamo gusti diversi, questo è risaputo, e aggiungo che abbiamo tutti esigenze diverse, come anche tutto il tempo davanti per cambiare ‒ eventualmente ‒ le nostre preferenze. Parlando di esigenze mi riferisco al voler, in un determinato momento, di leggere una data cosa. Per esempio, in estate mi piace leggere maggiormente la saggistica dato che mettendo da parte gli studi un attimo posso concentrarmi su qualcosa di più impegnativo, e allo stesso modo si possono leggere libri meno impegnativi proprio per sentire la leggerezza da vivere in vacanza. Tutto ciò non è affatto un problema per me.

Ciò che a me dà fastidio è la soggettività che non permette di essere oggettivi, cosa di cui ho parlato qui, qui e qui.

Lascio passare del tempo (spesso parecchio) rispetto all’uscita di un’opera per avvicinarmi a essa.

Non mi approccio a qualcosa quando va di “moda” e non perché voglia fare l’alternativa a qualcosa – alternativa di che, poi, visto che ormai l’unica cosa davvero alternativa per quel che mi riguarda è essere se stessi – ma perché voglio evitare la febbre di quel determinato prodotto. Per febbre intendo proprio l’entusiasmo – che sfocia in delirio più di quanto non si pensi – che spesso non solo è eccessivo, ma tende a dar fastidio alle persone se hanno da ridire in modo oggettivo sulle cose, nella fattispecie me.

Non è il prodotto in sé che scanso, quanto più la fanbase, essenzialmente per due motivi. Se mi si dice di leggere/vedere/approcciarmi a qualcosa con insistenza, si può star sicuri che eviterò la data cosa con slancio perché più mi si dice di fare qualcosa e più non la faccio a prescindere. La ragione, però, non è solo questa. Avendo avuto molto a che fare col dilagante disagio delle persone, nel momento in cui mi avvicino a qualcosa preferisco che passi del tempo rispetto a quando la maggior parte delle persone attorno a me leggono/vedono questo o quello. Non è per cattiveria, ma voglio semplicemente essere serena quando mi diletto con le mie passioni; ho già tante preoccupazioni nel mio quotidiano, quindi evito quanto più possibile la gggente che gggenteggia, per capirsi.

Lo stesso vale quando sono invitata a dire la mia e con tutto che sono educata e motivo ciò che dico mi si attacca. Grazie, ma no, grazie.

Quando la febbre passa, ecco che io mi avvicino alla cosa. Non è un mistero che io abbia letto per esempio L’ombra del vento solo lo scorso anno (non appena sarò meno “impicciata” ve ne vorrei parlare come si deve), per esempio. Nel caso in cui aspetto invece con trepidante attesa qualcosa, allora tutto questo non lo considero in parte ovvero sto solo attenta a non avere a che fare con la gggente.

Credo di aver detto tutto, mi sa. O forse no; per il momento mi pare di sì, però potrei sbagliarmi. Nel caso in cui abbia dimenticato qualcosa, mi riserverò di aggiungerlo.

E voi, come vi approcciate a un’opera?

Il tag dei fandom!

Dopo tanto tempo, sono tornata sul blog!

Essendo che desidero tornare con calma, senza strafare e senza avvelenarmi l’animo (cosa che, a quanto pare, mi risulta difficile, per un motivo o per un altro, ma mi sto mettendo d’impegno per riuscire), eccomi qui con un qualcosa di leggero e (spero) divertente per chi legge; io mi sono divertita nel pensare alle risposte.

Come sempre, io non taggo nessuno, ma se si vuole, si può prendere il tag e farlo come se vi avessi invitato io a partecipare e avvisarmi se vi va di farmi leggere le vostre risposte.

Per questo tag fandomico, si sceglie un fandom (ovvero un libro, un film, una serie TV, un videogioco, un fumetto, un cartone, qualsiasi cosa che vi scateni la “fangirlite acuta”) e se ne parla, seguendo i vari punti sotto elencati.

Sarò scontata, ma scelgo come fandom Dragon Age. È un fandom che si compone di tre videogiochi – Dragon Age Origins, Dragon Age II e Dragon Age Inquisition – (corredati di DLC ed espansioni), alcune serie di fumetti – Dragon Age, The Silent Grove, Those Who Speak, Until we sleep, Magekiller – e alcuni libri – Il trono usurpato, La chiamata, Asunder, L’impero delle maschere, Last Flight – più un film dal titolo Dragon Age: Dawn of the Seeker e altri fumetti editi online e delle webseries.

Tutto parte dalla serie di videogiochi di ruolo a tema fantasy, sviluppata da Bioware. In pratica è dal 2009 – anno in cui iniziò anche la saga di Ezio Audiore – che mi sono avvicinata al mondo di Dragon Age comprando Origins, ma è solo da alcuni anni che ne ho riscoperto la passione, e sono affezionata a questa saga non solo per le emozioni che ho provato (e provo tuttora) grazie alle vicende e ai personaggi, ma anche perché ripartendo da Origins e scoprendo tutto il resto io sono riuscita a trovare un piccolo, grande interesse che mi ha permesso di lottare contro la depressione e di ritrovare la passione per la scrittura. È anche per questo che amo scrivere fanfiction su questo mondo, che mi ha dato tanto.

Dunque partiamo! Nel caso in cui non conosciate la saga (e magari vorreste approcciarvi a essa) cercherò di stare sul vago e di mettere tra asterischi i possibili spoiler. Nel caso in cui adoriate, come me, gli spoiler leggeteli pure!

OTP

F/F: Isabela e Female!Hawke, coppia che si può vedere in Dragon Age II. La romance con la bella piratessa Isabela è la mia preferita, non solo perché lei è tremendamente intrigante e sensuale, ma anche perché è una di quelle relazioni che partono da un qualcosa di puramente fisico che poi sfocia in altro, qualcosa di più profondo.

Amo Isabela perché sa stare allo scherzo, non si tira indietro se ci si vuol fare una bevuta, è provocante, non si tira indietro se si parla di un umorismo triviale, è tutta curve (mi piacciono le donne formose), sembra superficiale, ma non lo è; compie anche buone azioni – che da lei, se vogliamo darle un allineamento, è una caotica neutrale, non ti aspetti – ma non mette i manifesti quando li compie, per vantarsene, come farebbero tanti altri. Se si ha una buona approvazione con Isabela lei mostrerà un lato davvero inaspettato, tenero, e anche romantico se si prosegue fino alla fine la romance con lei.

A me piace particolarmente anche perché lei è quell’esempio di donna che non ha problemi nel vivere liberamente la sua sessualità e come le donne – nel 2016 – viene etichettata come “troia” per questo, ma lei se ne frega, perché lei sa qual è il suo valore come persona, ancor prima di essere donna, e non deriva di certo da quanti partner ha avuto. La ammiro per questo. Emblematica è la sua frase “They don’t know me. I know me”.

M/M: Dorian e Male!Inquisitor, che si ha in Dragon Age Inquisition. Dorian è dichiaratamente omosessuale, e non si è mai piegato alle rigide etichette che vedrebbero un amore tra uomini come un vezzo, un qualcosa di puro diletto, ma superficiale, solo per passare il tempo, mentre poi devi comunque “tornare alla realtà” ovvero sposarti e fare figli. Dorian è sarcastico e affascinante e devo dare atto del fatto che è un personaggio ben caratterizzato, dal background definito e soprattutto non è affatto una macchietta.

Tendenzialmente, bazzicando nel mondo del fanwriting, ho notato che quando si tratteggiano uomini omosessuali, molto spesso li dipingono sempre come “sbrilluccicanti, amanti dei lustrini, sopra le righe per via di comportamento ed estro e dal carattere lunatico”, e che quindi sfociano caratterialmente nell’essere dipinti come “vulvette lamentose”/“checche isteriche” (sono gli unici modi per far capire il luogo comune: con un altro luogo comune) e a me sta palesemente sullo stomaco perché non è possibile che ogni uomo debba essere reso così. E mi fermo qui.

Dorian non lo è e personalmente dargli il mio inquisitore Caderyn come compagno per me è stato come dargli una gioia dopo una vita di “mainagioia” sentimentalmente parlando.

M/F: Iron Bull e Female!Inquisitor, sempre da Inquisition. Anche loro, come per Isabela e Female!Hawke, la relazione nasce a partire dal sesso per poi svilupparsi in un sentimento più profondo.

Di Bull vi ho già parlato qui, ma male non fa ripetere alcune cosette.

Bull appare massiccio, un colosso, una specie di Bud Spencer che non si tira indietro a lottare e uccidere, ma sa essere anche molto premuroso verso il partner, si prende cura di lui/lei – è un personaggio pansessuale, lo si può accoppiare con un personaggio di tutte le razze; io ho scelto di accoppiarlo a una inquisitrice che ha molto di me, a partire dai capelli rossi (e lui ha un debole per le rosse, lo dice proprio!) – e anche sotto il profilo sessuale, non è affatto come Cristiano Grigio delle cinquanta fognature: con lui si ha una sana relazione basata sul BDSM. Il tutto è sano, sicuro e consensuale e lo si può notare nei cutscene se si avvia la romance con lui.

Bull è allegro e gioviale, sa essere serio quando ci vuole e sa scherzare quando occorre che lo si faccia. E Freddie Prince Jr. gli ha dato una voce che… che parlo a fare?

Lui poi è un tesoro con le sue Furie ovvero i suoi commilitoni della banda di mercenari di cui è il capo, si prende cura di loro come una mamma chioccia e vuole bene a ognuno di loro; dietro quei muscoli si cela tanta tenerezza, è un compagno che personalmente se lo incontrassi nella realtà… non me lo lascerei scappare.

Personaggio preferito maschile? Bull. Sempre e per sempre. Se voglio arrivare a fare una Top 3 dico: Bull, Varric (presente in Dragon Age 2 e Inquisition) e Zevran (presente in Origins come personaggio giocante e nel 2 in una comparsata).

Personaggio preferito femminile? Mi divido a metà tra la mia Custode Sheridan (personaggio di Origins ovvero la mia protagonista) e Cassandra (presente come personaggio giocante in Inquisition, ma la si conosce nel 2. Su di lei è incentrato il film Dawn of the Seeker).

Personaggio più complesso? Il bello di Dragon Age è che non esistono personaggi semplici e personaggi complessi: tutti sono perfettamente tratteggiati e dotati di tante sfumature che te li rende amati o odiati, ma non dirai mai che sono banali. Quindi dico tutti e non mi pento di dire così.

La morte più dolorosa? Ogni morte è uno spoiler sinceramente, quindi non so come fare in questo caso… *Spoiler* Io dico Duncan e dopo averlo conosciuto da giovane ne La chiamata il mio cuore piange ancora di più.

I cinque momenti migliori da feels? Per feels si possono indicare anche momenti lieti e quindi… *spoiler*

1) La storia d’amore travagliata di Loghain e Rowan ne Il trono usurpato (angst a palate);

2) Rivedere Gorim a Denerim se il tuo Custode è una nana nobile in Origins (angst anche qui a vagonate);

3) Dorian che racconta all’Inquisitore/Inquisitrice del rapporto che ha con suo padre in Inquisition;

4) La vicenda di Nicholas e Julien ne La chiamata;

5) La storia di come Bull conosce Krem, il suo secondo in comando nella compagnia.

Sono tutti angstosi, ma io sguazzo nell’angst.

Personaggio che hai detestato? Quel figlio della merda di Danarius, dico solo questo.

Cosa avresti voluto cambiare? Un certo atteggiamento di Alistair (personaggio giocante in Origins), che io non riesco a perdonare, come non riuscirei a farlo nemmeno con una persona nella vita vera.

Personaggio che vorresti morto e invece è vivo? Solas, da me ribattezzato “uovo marcio” per via della pelata e dalla sua testa che sembra un uovo o anche “Mastro Lindo”, la versione poraccissima.

Scegli solo un personaggio da far ritornare in vita. Bethany. La mia pupina!

Il maggior colpo di scena? Viene dal DLC Trespasser, quindi *spoiler*

Se in Inquisition si sacrificano le Furie (i mercenari di Bull, che è la sua famiglia), con tutto se sei in romance con lui, Bull ti tradisce e lotterà contro di te.

Best quote? Ne ho due a pari merito: “No one is born wise; we get that way only by enduring” (detta da Loghain) e “You have to fight for what’s in your heart” (detta da Dorian).

Preferisci le voci originali o doppiate? Sono solo originali, e sono meravigliose.

Personaggio su cui ti sei ricreduta, in meglio o in peggio? Fenris. Giocando la romance con lui ottenendo il massimo dell’amicizia, ho notato quanto tiene davvero a Hawke e come riesce – per stare con lui/lei – ad avvicinarsi ad alcuni compromessi che per lui sono difficili da mandare giù. E poi la scena in cui *spoiler* racconta che non sa leggere perché – da ex schiavo – non gli era permesso imparare mi ha sciolta e impietosita tantissimo, al punto da dire “ti insegno io!”.

Gli antagonisti sono all’altezza dei protagonisti? Assolutamente sì. Non sono dei cattivi senza motivazione di essere cattivi, affatto.

Hai mai cercato dei video su youtube? Praticamente sempre!

Attore/attrice preferito? L’ho già citato prima: Freddie Prince Jr. che quando dà la voce a Bull renderebbe sexy persino la lista della spesa.

Personaggi secondari preferiti? Rowan Guerrin, decisamente lei!

Hai mai pianto? Alla Bioware sono amanti dell’angst, quindi sì, parecchie volte! Il momento in cui però piango di viva commozione è quando viene intonata The dawn will come, il momento in cui l’Inquisizione si fonda davvero. A tal proposito metto qui il link di una versione bellissima cantata in una chiesa. Io sono atea, ma questo non mi impedisce di amare un qualcosa a carattere religioso (anche se della religione del mondo fittizio dell’opera), che sia chiaro: l’arte e la sua bellezza esulano dalle credenze che uno ha.

Perché la tua OTP è superiore alle altre? Perché Bull è la gnoccanza fatta a qunari. Scherzi a parte, io non faccio mai pubblicità alle mie OTP per screditare le NOTP, viva il libero shipping purché non si cada nell’OOC merdoso.

Soundtrack preferita? Destiny of love, canzone del secondo gioco.

Il finale ti ha soddisfatto o deluso? Più che altro, essendo quello di Inquisition davvero aperto, ti viene da dire “datemi il quarto gioco ora”!

Un aggettivo per ogni personaggio che ti viene in mente? I personaggi sono tanti, farei un papiro!

Hai visto questo prodotto con superficialità per poi ricrederti o con alte aspettative iniziali per poi rimanerne deluso? Diciamo che non partivo prevenuta quando presi Origins; sapevo che ne parlavano benissimo anche le critiche, ma non sapevo cosa aspettarmi. Me ne sono innamorata.

NOTP? Hawke (sia donna sia uomo) con Merrill nel 2. La vedo solo come una sorellina.

Hai mai odiato il tuo preferito? Ammetto che certi sberloni a Loghain glieli darei volentieri, non giustifico affatto alcune sue scelte che trovo disumane.

Ti vergogni nell’ammettere di amare tale personaggio? Amo Loghain. *mette i manifesti*

Hai ricevuto bashing invece? Sì, perché non accoppio Zevran, Anders, Fenris e Bull a personaggi maschili, mi si è accusato di essere omofoba. Semplicemente per immedesimazione, non mi eccitano particolarmente pensare o vedere due uomini che fanno sesso, idem nel leggere fanfiction; viceversa con le donne lo trovo dannatamente eccitante e lo stesso con una donna e un uomo.

Unpopular opinion? Alistair di Origins mi sta palesemente sul culo per una scelta che fa, per un comportamento che ha.

*spoiler*

Se non sei una umana nobile, con tutto che ha una relazione con la tua Custode, non ti sposa. Adduce la scusa che il popolo non vedrebbe di buon occhio sul trono la tua Custode. Lui per primo ha sempre odiato le etichette essendo il figlio bastardo del re Maric, perché quando la gente lo scopre si comporta in modo diverso con lui rispetto a quando non lo sapeva, e temeva che anche la Custode – quando glielo confessa – avrebbe cambiato atteggiamento verso di lui. Visto che poi lui intavola sin da subito con la Custode una relazione seria, con tanto di dichiarazioni – imbranate sicuramente, ma dolci, tenere, sentite – è proprio da merde dire poi quell’affermazione di cui su. Penso che non avrebbe dovuto dire una cosa del genere e sposare la Custode al di là della sua razza e del suo lignaggio se in romance con lei perché dapprima avrebbe mostrato al popolo che si sposa per amore e che scegliendo una maga umana, un’elfa (maga o meno) o una nana le minoranze dei suoi sudditi si sarebbero sentite più rappresentate oltre al fatto che avrebbe avuto affianco chi diceva di amare. Per la mia visione delle cose questa è una cattiveria, non gliel’ho mai perdonata.