Sono tornata? Non lo so, ma forse non ha importanza; questa doppia recensione è il mio personale regalo di Natale. Sarà che ho letto a distanza di poco tempo i due volumi in questione, sarà che volevo parlarne, sarà che tutto sommato a Natale si è più buoni – lo si è davvero? Mi piace pensarlo – e quindi mi sono decisa a regalarmi queste parole.
Facciamo però alcune opportune premesse, anche per entrare nel discorso.
1) Se non avete letto i tre volumi di Millennium scritti da Stieg Larsson ovvero Uomini che odiano le donne, La ragazza che giocava col fuoco e La regina dei castelli di carta forse non avrà molto senso quello che dirò. Vi consiglio di farlo dapprima, perché per parlare di Quello che non uccide e L’uomo che inseguiva la sua ombra c’è bisogno di conoscere la saga di Millennium, mentre se lo avete fatto allora non ci sono problemi.
2) Stieg Larsson morì nel 2004, e i suoi volumi sono stati pubblicati postumi. Hanno avuto un grande successo, ma con la sua morte sono stati inevitabili dei retroscena riguardo una possibile continuazione della saga (perché di saga si parla, l’idea era quella da sempre, dieci libri a quanto pare). La querelle in poche parole è questa: la compagna di una vita di Larsson, Eva Gabrielsson, non avrebbe voluto che la saga di Millennium continuasse dopo la morte dello scrittore, ma non essendo sposati e non essendoci un testamento, i diritti legali di Larsson sono stai divisi tra suo padre e suo fratello che invece hanno disposto diversamente. Hanno scelto quindi David Lagercrantz come successore.
Estendiamo questa parentesi. Da quello che si sapeva (e sapevo anche io, lo ammetto) su Lagercrantz illo tempore ovvero che il suo libro più famoso è la controversa biografia del calciatore Zlatan Ibrahimovic, non essendo il mio genere, non avevo appigli e voglia ad avvicinarmi a questo scrittore. Non sapevo nemmeno che avesse scritto romanzi d’inchiesta su casi di cronaca nera svedesi o romanzi o biografie di inventori e scienziati, l’ho scoperto dopo.
Ho aspettato molto anche solo per comprare il quarto libro e ho scoperto che, grazie al successo del primo libro di Millennium scritto da lui, Quello che non uccide, in Italia era stato pubblicato anche La caduta di un uomo, una biografia di Alan Turing narrata sottoforma di romanzo storico – quindi che mescola volutamente fatti reali, immaginari e verosimili – secondo uno stile che va a metà tra l’indagine poliziesca, la biografia e l’inchiesta giornalistica: uno stile che, nemmeno a farlo apposta, forse Mikael Blomkvist avrebbe approvato e chissà, magari usato anche lui se avesse scritto di Turing su un numero speciale romanzato del suo Millennium. Apprezzando molto la figura di Turing e non avendo mai digerito la resa del film The imitation game, ecco qual è stato il primo libro di Lagercrantz che ho letto. Mi è piaciuto e forse è per questo che da lì mi sono decisa a prendere il quarto di Millennium, mentre il quinto è stato un regalo in anticipo per questo Natale.
Il mio dubbio più grande – al di là del “chissà come si svilupperà la trama?” che era maggiormente una curiosità visto che Larsson ha lasciato poco quanto nulla sulla continua – era una paura: avevo paura che le personalità dei personaggi che avevo amato sin da adolescente e a ogni rilettura fossero state distorte, che non avrei avuto più davanti i Lisbeth e Mikael che conoscevo. Avendo letto qualcos’altro di Lagercrantz non avevo più il pregiudizio iniziale, ma questo timore c’era. Sulla caratterizzazione dei personaggi sono molto, molto severa, specie se mi hanno lasciato qualcosa come lettrice e come persona. Lisbeth e Mikael sono stati tracciati in modo preciso, sono personaggi complessi che a mio avviso avrebbero dato poco spazio a errori di interpretazione, con tutto che il rischio era concreto, con la conseguenza che anche la saga perdesse di valore, risultando spersonalizzata.
Nella mia piccola esperienza di fanwriter, quindi di autrice che si diletta a scrivere storie su opere che ama non a scopo di lucro, so bene che è una sfida – impegnativa, ma di gran lunga interessante e stimolante – attenersi al carattere dei personaggi, senza snaturarli, come anche rendere una trama coerente e coesa con essi, muovendoli proprio come farebbe il creatore. Può riuscire bene come anche no, tutto sta alla bravura di chi scrive. In quest’ottica Lagercrantz non è tanto diverso da un fanwriter, con la differenza che le sue opere sono da considerarsi canoniche nella saga quindi una valida continua della stessa.
Il rischio più grande di questi nuovi romanzi, specie il quarto, era quello di avere o una semplice imitazione di Larsson oppure di ritrovarci una narrazione del tutto nuova che non aveva continuità con quanto narrato in precedenza. Riprendere da dove eravamo rimasti non è facile.
Quello che non uccide, romanzo più breve dei suoi predecessori (siamo sulle cinquecento pagine), si apre con un’ambientazione tra Svezia e Stati Uniti, dove ci vengono presentati personaggi nuovi, ma con un incedere di narrazione che sembra non avere una direzione precisa in quanto i fatti presentati non solo sono nuovi, quindi sconosciuti anche ai lettori di vecchia data, ma sono dettagliati.
Questo agli occhi di chi legge può tradursi in due pensieri:
- Sono concetti che ci ritorneranno utili successivamente? E qui ci si può solo augurare che sia così perché per quanto la storia parta con lentezza ha il giusto potenziale per essere sia misteriosa sia avvincente date le premesse;
- Siamo davanti a una storia che perderà il connotato del giallo scandinavo e andrà a finire sull’azione che contraddistingue il thriller statunitense?
L’inizio del romanzo non colpisce per ritmo, per la capacità di indurre curiosità e nel momento in cui ci ritroviamo davanti un Mikael Blomkvist stranamente demotivato, stanco dell’attività giornalistica e sfiduciato per il futuro della rivista Millennium che nel frattempo è entrata sotto l’influenza di un importante gruppo editoriale ci sembra di essere catapultati in una realtà a noi non nota, che spiazza. Eppure questo nuovo lato di Mikael mi ha lasciato presagire qualcosa di positivo, anche perché i personaggi nel corso del tempo non restano sempre gli stessi, statici e, nel bene e nel male, vivere o subire un’evoluzione è importante, anche per vedere come essi diventeranno e se saranno tutto sommato coerenti.
Mikael intuisce un’occasione di riscatto nel momento in cui Frans Balder, genio della fisica quantistica e dell’informatica, lo chiama perché vuole rivelargli dichiarazioni scottanti e si convince a incontrarlo quando scopre che Balder ha conosciuto recentemente Lisbeth Salander, di cui lui non aveva notizie da un bel pezzo. Balder stava lavorando a una ricerca molto importante sulle intelligenze artificiali e ci sono persone che desiderano impossessarsi dei risultati sia per quello che valgono sia perché hanno già in mente delle modalità di uso per le intelligenze artificiali. E ci saranno due intelligenze che a loro volta concorreranno a capire questi risultati: quella di Lisbeth e quella di August, il figlio autistico di Balder, che è in pericolo per aver assistito a un omicidio.
Se c’è una cosa che pare certa è che Lagercrantz ama scrivere di geni matematici e dell’informatica, personaggi anche sopra le righe, come ha anche ammesso direttamente. Ho apprezzato particolarmente i temi su cui si sviluppa l’intrigo della storia: l’autismo, l’informatica, l’intelligenza artificiale, la matematica, la violenza sulle donne… sono tutti elementi che definiscono bene l’argomento su cui si vuole discutere nonché attuali.
Larsson aveva sempre inserito nei romanzi elementi che portano in un certo modo a far riflettere, perché vicini alla realtà quotidiana a livello sociologico e in questo caso si danno input sui rischi provocati dal superamento di qualsiasi limite – etico, legislativo, morale – nell’uso dello spionaggio informatico, della sicurezza degli stati che si avvale sempre più di intercettazioni, forme di controllo e le informazioni (politiche, economiche, di qualunque tipo) diventano merci di scambio tra le parti.
Questo ha comportato un allontanamento nelle descrizioni di scene di violenza che avevamo nei precedenti libri nella saga, ma come Lagercrantz stesso ha affermato, è stato un modo per restare fedele sia al compianto Larsson sia a se stesso: ha parlato di violenza dandone un connotato particolare, uno più intellettuale, che sa essere subdolo e meschino, e proprio perché meno visibile rispetto a quella fisica ha una certa pericolosità spesso sottovalutata. La ricerca di giustizia sociale, tanto cara a Larsson, è presente e viva, come anche il quadro degli elementi su cui si vuole indagare è realistico e approfondito.
Le informazioni che si vogliono scoprire grazie allo spionaggio informatico sono poi legate al passato di Lisbeth e apparirà anche… non faccio spoiler.
Andando avanti nella lettura la lentezza iniziale che poteva esser vista anche come paura nei confronti del predecessiore si perde e la narrazione ingrana, i personaggi e la trama funzionano, e tornano alla ribalta anche alcuni a noi già noti come Erika Berger, il commissario Bublanski e Holger Palmgren oltre proprio i nostri protagonisti che ritroviamo simili a prima, quindi con delle differenze. A partire dal fatto che Mikael si trova a essere più spettatore degli eventi e non cacciatore di assalto col suo giornalismo mentre Lisbeth è più protagonista che mai oltre che una persona che si scopre, pur restando sempre ritrosa e sulle sue, protettiva, come si vede nei confronti di August oltre che amante della giustizia.
Se dovessimo fare un confronto con un classico che ha aperto la strada al giallo, Lisbeth può essere associata con Sherlock Holmes laddove Mikael è John Watson e in questo quarto capitolo la cosa appare più lampante che mai (già si notava che Lisbeth diventava sempre più protagonista, quindi potrebbe essere un risvolto molto naturale) e risultano essere personaggi sempre affascinanti, perché la guida della loro condotta resta nel modo più assoluto il senso di giustizia che ha caratterizzato la loro intera vita e non sono nuovi a rischiare di passare dalla parte del torto per far sì che essa trionfi.
Il romanzo presenta dei capitoli che si articolano su brevi intermezzi temporali che risultano incalzanti nella lettura, avvincenti, e le interruzioni delle sequenze narrative spingono ad accelerare la lettura acuendo al contempo il climax della storia. A differenza dei romanzi precedenti però –specie il primo – lo scenario qui è più ampio e allargandosi a parlare della sicurezza degli Stati Uniti viene a perdersi un attimo la concentrazione della narrazione sulla realtà e sulla società svedese che aveva contraddistinto la storia sinora, mentre il ritmo più rapido le dà una commistione di spy story laddove prima era un giallo con connotati di noir.
Un romanzo perfetto, dunque? Assolutamente no, sarebbe disonesto da parte mia affermare il contrario. Vi sono molte digressioni matematiche, tra cui concetti sui numeri primi, fattorizzazione, scomposizioni e, visti nell’ottica che questa riesce a essere il linguaggio di August – nonché la spiegazione sugli stessi savant – che gli permette di comunicare con Lisbeth riescono a essere perdonabili, mentre il linguaggio troppo tecnico, spiegazioni molto precise sull’informatica e sul linguaggio degli hacker possono risultare pesanti, per quanto però, dato che Lisbeth diventa maggiormente protagonista delle vicende – e dell’intrigo – può essere del tutto giustificato. Del resto, facendo riferimento alla trilogia di Larsson, noi conoscevamo poche cose della sua attività di hacker, come il nome del software creato da Lisbeth per controllare i computer di chi voleva “sorvegliare” – asphyxia – mentre le sue indagini restavano comunque secondarie; adesso invece diventano più importanti e presenti.
Resta sicuramente un merito che Lagercrantz abbia voluto informarsi sull’hacking, cosa sia e come funzioni, perché a conti fatti noi come spettatori vediamo sempre le solite mosse al computer, le schermate in bianco e nero delle parti in questione e in pochi secondi è fatta: abbastanza irrealistico, non trovate?
Questo romanzo però non era la sfida di David Lagercrantz: la vera prova del nove si sarebbe avuta con il quinto volume. E questo capitolo sarà al cinema nel 2018, con Fede Álvarez alla regia e Claire Foy nei panni di Lisbeth.
Dopo due anni – il 2017 ormai terminato – è arrivato nelle librerie L’uomo che inseguiva la sua ombra, romanzo che segna il vero e proprio ingresso di Lagercrantz nelle fila della storia. Se Quello che non uccide poteva essere visto come un ponte tra il passato e quello che sarebbe diventato il futuro di Millennium, anche per non disorientare i lettori, ecco qui che il futuro è già giunto, diventando il presente.
Anche qui siamo sulle cinquecento pagine e, come per il volume precedente non abbiamo molte sottotrame rispetto ai romanzi di Larsson (che erano anche più corposi a livello di numero di pagine sebbene come ne La regina dei castelli di carta anche là le prime cento pagine… parevano incartarsi, se mi permettete il gioco di parole), ma la storia risulta coerente e coesa, la trama si sviluppa bene.
Ritorna in maniera più presente l’ambientazione svedese: i luoghi in cui i personaggi si muovono, parlano e agiscono sono ben tratteggiati e pare essere direttamente assieme a essi, per quanto anche questa volta abbiamo uno sviluppo parallelo della storia in luoghi diversi. In questo romanzo lo si nota maggiormente nei flashback.
Più che mai in questo libro è Lisbeth la protagonista assoluta della storia e si ritrova in un carcere di massima sicurezza per scontare una breve condanna – se avete letto Quello che non uccide sapete perché lei è qui – e all’interno della struttura tutto ruota attorno a una detenuta, Benito (sì, si fa chiamare così perché per le sue ideologie politiche osanna LVI), che si permette si spadroneggiare sul prossimo giacché chi dovrebbe garantire ordine e giustizia non lo fa. La vittima di Benito è Faria Kazi, una ragazza del Bangladesh che vive in Svezia da tanto tempo e Lisbeth farà di tutto per aiutarla.
Questo gesto permetterà a Lisbeth di accedere a un computer in carcere da dove comincia una serie di ricerche dopo la visita ricevuta dal suo vecchio tutore Holger Palmgren che innesca una serie di vicissitudini, non senza conoscere nuove informazioni che potrebbero aiutarla a conoscere nuovi tasselli della sua infanzia tormentata. Assieme al valido aiuto di Mikael scoprirà un elenco e l’esistenza di un Registro per lo studio della genetica e dell’ambiente, nonché il ricordo di una donna che aveva una voglia rossa sul collo.
Anche qui abbiamo dei temi sociali, tra cui la corruzione nelle carceri, l’andamento della Borsa e le conseguenze sulla società, l’immigrazione e la vita di una ragazza in una famiglia di religione islamica molto chiusa e intransigente, esperimenti al limite dell’etica e della morale giustificati per la scienza, nonché vite vissute a metà, gemelli scomparsi, rapporti da ricostruire, che sono argomenti che portano all’interno della narrazione anche un connotato sentimentale che non risulta affatto stucchevole o fuori contesto. Non posso dire di più però.
Purtroppo però alcune digressioni nella narrazioni, che rimandano ad avvenimenti accaduti negli scorsi romanzi, in stile “se non ti ricordi ti faccio un piccolo sommario”, forse per i nuovi lettori che partono dal quinto volume (può capitare), appesantiscono la narrazione e di tanto in tanto mi hanno fatto innervosire.
Al contrario, le dissertazioni scientifiche (specie su una questione in particolare) non mi hanno infastidita, forse perché sapevo che ci sarebbero state, memore del quarto volume, oppure perché sono una mia particolare debolezza, come anche le citazioni musicali di brani particolari che non stonano affatto né nel contesto né per quello che significa la musica in sé per due personaggi che hanno molto da dire nella sottotrama che si incastra in quella principale. Se in Quello che non uccide c’era il dettaglio di personaggi che leggevano alcuni libri che venivano nominati e mi aveva fatto impazzire, anche qui il dettaglio musicale (che è un’altra mia passione, è per questo che ho scelto di dire entrambe le cose una volta sola) mi è piaciuto molto, specie perché sono titoli che si associano bene ai personaggi in questione, sia per il loro mestiere o per gli hobby che hanno come anche il modo di vivere su di loro quella data passione.
Non per nulla abbiamo Mikael Blomkvist che legge Elizabeth George (refuso: la scrittrice non è inglese, ma americana), una giallista, mentre lui è stato di per sé soprannominato Kalle Blomkvist dopo che ha scoperto alcuni retroscena grazie a una sua inchiesta, proprio come se fosse un detective privato, come anche sapere che ha deciso di diventare giornalista dopo che ha visto per la prima volta da bambino Tutti gli uomini del presidente sono dei dettagli che caratterizzano meglio i personaggi e li rendono più vicini a noi, più umani.
Il tema dei gemelli scomparsi porterà a conoscere due personaggi – non dico altro – a scapito di altri che in questo caso sono se non dei comprimari quasi più delle comparse, a eccezione forse di Erika Berger che si vedrà in una data veste (che personalmente non mi aspettavo), mentre la coppia d’oro è presente e ben oliata.
Come dicevo prima, Lisbeth è in questo capitolo della saga al centro delle vicende più che mai e nel suo modo di indagare anche abbastanza action – facendo riferimento alla maggiore azione in tal senso delle storie di spionaggio come detto per Quello che non uccide – si scoprono nuovi dettagli della sua vita, come l’origine del suo tatuaggio sulla schiena, l’enorme drago o perché si fa chiamare Wasp e cosa rappresenta per lei il mondo in cui si è rifugiata da piccina.
È un’eroina fuori dagli schemi e dagli stereotipi, dotata di una viva intelligenza, che ha avuto un passato difficile e che, per quanto vittima, ha saputo reagire e sconfiggere – se non tutti al momento almeno quelli che le sono parati davanti – i demoni che ha incontrato. È un personaggio che ha sé molto da dire e che è in costante evoluzione, per quanto resta sempre spinta dalla giustizia, che vive a modo suo, a stretto contatto con un febbrile stato ansioso di vendetta, per quella sua primigenia intolleranza alle ingiustizie, ritrovandosi a essere una stessa cosa.
Del resto, Lisbeth è molto chiara: prima si scopre la verità, poi ci si può vendicare. E in questa faccenda ha – se lo vediamo nella sua ottica – tutte le ragioni per volersi vendicare.
E non dico altro, perché credo di essermi dilungata troppo. Spero di avervi invogliati a saperne di più, di avervi solo incuriositi per dare una chance allo scrittore e ai romanzi, come anche di parlarne assieme se li avete già letti. Ne approfitto (visto che è il trenta dicembre) per farvi gli auguri per un buon 2018.
Ci rivedremo su questi lidi? Chissà.