Tra passato e futuro: Millennium con la penna di David Lagercrantz (volumi 4 e 5)

Sono tornata? Non lo so, ma forse non ha importanza; questa doppia recensione è il mio personale regalo di Natale. Sarà che ho letto a distanza di poco tempo i due volumi in questione, sarà che volevo parlarne, sarà che tutto sommato a Natale si è più buoni – lo si è davvero? Mi piace pensarlo – e quindi mi sono decisa a regalarmi queste parole.

Facciamo però alcune opportune premesse, anche per entrare nel discorso.
1) Se non avete letto i tre volumi di Millennium scritti da Stieg Larsson ovvero Uomini che odiano le donneLa ragazza che giocava col fuocoLa regina dei castelli di carta forse non avrà molto senso quello che dirò. Vi consiglio di farlo dapprima, perché per parlare di Quello che non uccide L’uomo che inseguiva la sua ombra c’è bisogno di conoscere la saga di Millennium, mentre se lo avete fatto allora non ci sono problemi.
2) Stieg Larsson morì nel 2004, e i suoi volumi sono stati pubblicati postumi. Hanno avuto un grande successo, ma con la sua morte sono stati inevitabili dei retroscena riguardo una possibile continuazione della saga (perché di saga si parla, l’idea era quella da sempre, dieci libri a quanto pare). La querelle in poche parole è questa:  la compagna di una vita di Larsson, Eva Gabrielsson, non avrebbe voluto che la saga di Millennium continuasse dopo la morte dello scrittore, ma non essendo sposati e non essendoci un testamento, i diritti legali di Larsson sono stai divisi tra suo padre e suo fratello che invece hanno disposto diversamente. Hanno scelto quindi David Lagercrantz come successore.

Estendiamo questa parentesi. Da quello che si sapeva (e sapevo anche io, lo ammetto) su Lagercrantz illo tempore ovvero che il suo libro più famoso è la controversa biografia del calciatore Zlatan Ibrahimovic, non essendo il mio genere, non avevo appigli e voglia ad avvicinarmi a questo scrittore. Non sapevo nemmeno che avesse scritto romanzi d’inchiesta su casi di cronaca nera svedesi o romanzi o biografie di inventori e scienziati, l’ho scoperto dopo.

Ho aspettato molto anche solo per comprare il quarto libro e ho scoperto che, grazie al successo del primo libro di Millennium scritto da lui, Quello che non uccide, in Italia era stato pubblicato anche La caduta di un uomo, una biografia di Alan Turing narrata sottoforma di romanzo storico – quindi che mescola volutamente fatti reali, immaginari e verosimili – secondo uno stile che va a metà tra l’indagine poliziesca, la biografia e l’inchiesta giornalistica: uno stile che, nemmeno a farlo apposta, forse Mikael Blomkvist avrebbe approvato e chissà, magari usato anche lui se avesse scritto di Turing su un numero speciale romanzato del suo Millennium. Apprezzando molto la figura di Turing e non avendo mai digerito la resa del film The imitation game, ecco qual è stato il primo libro di Lagercrantz che ho letto. Mi è piaciuto e forse è per questo che da lì mi sono decisa a prendere il quarto di Millennium, mentre il quinto è stato un regalo in anticipo per questo Natale.

Il mio dubbio più grande – al di là del “chissà come si svilupperà la trama?” che era maggiormente una curiosità visto che Larsson ha lasciato poco quanto nulla sulla continua – era una paura: avevo paura che le personalità dei personaggi che avevo amato sin da adolescente e a ogni rilettura fossero state distorte, che non avrei avuto più davanti i Lisbeth e Mikael che conoscevo. Avendo letto qualcos’altro di Lagercrantz non avevo più il pregiudizio iniziale, ma questo timore c’era. Sulla caratterizzazione dei personaggi sono molto, molto severa, specie se mi hanno lasciato qualcosa come lettrice e come persona. Lisbeth e Mikael sono stati tracciati in modo preciso, sono personaggi complessi che a mio avviso avrebbero dato poco spazio a errori di interpretazione, con tutto che il rischio era concreto, con la conseguenza che anche la saga perdesse di valore, risultando spersonalizzata.

Nella mia piccola esperienza di fanwriter, quindi di autrice che si diletta a scrivere storie su opere che ama non a scopo di lucro, so bene che è una sfida – impegnativa, ma di gran lunga interessante e stimolante – attenersi al carattere dei personaggi, senza snaturarli, come anche rendere una trama coerente e coesa con essi, muovendoli proprio come farebbe il creatore. Può riuscire bene come anche no, tutto sta alla bravura di chi scrive. In quest’ottica Lagercrantz non è tanto diverso da un fanwriter, con la differenza che le sue opere sono da considerarsi canoniche nella saga quindi una valida continua della stessa.

Il rischio più grande di questi nuovi romanzi, specie il quarto, era quello di avere o una semplice imitazione di Larsson oppure di ritrovarci una narrazione del tutto nuova che non aveva continuità con quanto narrato in precedenza. Riprendere da dove eravamo rimasti non è facile.

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Quello che non uccide, romanzo più breve dei suoi predecessori (siamo sulle cinquecento pagine), si apre con un’ambientazione tra Svezia e Stati Uniti, dove ci vengono presentati personaggi nuovi, ma con un incedere di narrazione che sembra non avere una direzione precisa in quanto i fatti presentati non solo sono nuovi, quindi sconosciuti anche ai lettori di vecchia data, ma sono dettagliati.

Questo agli occhi di chi legge può tradursi in due pensieri:

  • Sono concetti che ci ritorneranno utili successivamente? E qui ci si può solo augurare che sia così perché per quanto la storia parta con lentezza ha il giusto potenziale per essere sia misteriosa sia avvincente date le premesse;
  • Siamo davanti a una storia che perderà il connotato del giallo scandinavo e andrà a finire sull’azione che contraddistingue il thriller statunitense?

L’inizio del romanzo non colpisce per ritmo, per la capacità di indurre curiosità e nel momento in cui ci ritroviamo davanti un Mikael Blomkvist stranamente demotivato, stanco dell’attività giornalistica e sfiduciato per il futuro della rivista Millennium che nel frattempo è entrata sotto l’influenza di un importante gruppo editoriale ci sembra di essere catapultati in una realtà a noi non nota, che spiazza. Eppure questo nuovo lato di Mikael mi ha lasciato presagire qualcosa di positivo, anche perché i personaggi nel corso del tempo non restano sempre gli stessi, statici e, nel bene e nel male, vivere o subire un’evoluzione è importante, anche per vedere come essi diventeranno e se saranno tutto sommato coerenti.

Mikael intuisce un’occasione di riscatto nel momento in cui Frans Balder, genio della fisica quantistica e dell’informatica, lo chiama perché vuole rivelargli dichiarazioni scottanti e si convince a incontrarlo quando scopre che Balder ha conosciuto recentemente Lisbeth Salander, di cui lui non aveva notizie da un bel pezzo. Balder stava lavorando a una ricerca molto importante sulle intelligenze artificiali e ci sono persone che desiderano impossessarsi dei risultati sia per quello che valgono sia perché hanno già in mente delle modalità di uso per le intelligenze artificiali. E ci saranno due intelligenze che a loro volta concorreranno a capire questi risultati: quella di Lisbeth e quella di August, il figlio autistico di Balder, che è in pericolo per aver assistito a un omicidio.

Se c’è una cosa che pare certa è che Lagercrantz ama scrivere di geni matematici e dell’informatica, personaggi anche sopra le righe, come ha anche ammesso direttamente. Ho apprezzato particolarmente i temi su cui si sviluppa l’intrigo della storia: l’autismo, l’informatica, l’intelligenza artificiale, la matematica, la violenza sulle donne… sono tutti elementi che definiscono bene l’argomento su cui si vuole discutere nonché attuali.

Larsson aveva sempre inserito nei romanzi elementi che portano in un certo modo a far riflettere, perché vicini alla realtà quotidiana a livello sociologico e in questo caso si danno input sui rischi provocati dal superamento di qualsiasi limite – etico, legislativo, morale – nell’uso dello spionaggio informatico, della sicurezza degli stati che si avvale sempre più di intercettazioni, forme di controllo e le informazioni (politiche, economiche, di qualunque tipo) diventano merci di scambio tra le parti.

Questo ha comportato un allontanamento nelle descrizioni di scene di violenza che avevamo nei precedenti libri nella saga, ma come Lagercrantz stesso ha affermato, è stato un modo per restare fedele sia al compianto Larsson sia a se stesso: ha parlato di violenza dandone un connotato particolare, uno più intellettuale, che sa essere subdolo e meschino, e proprio perché meno visibile rispetto a quella fisica ha una certa pericolosità spesso sottovalutata. La ricerca di giustizia sociale, tanto cara a Larsson, è presente e viva, come anche il quadro degli elementi su cui si vuole indagare è realistico e approfondito.

Le informazioni che si vogliono scoprire grazie allo spionaggio informatico sono poi legate al passato di Lisbeth e apparirà anche… non faccio spoiler.

Andando avanti nella lettura la lentezza iniziale che poteva esser vista anche come paura nei confronti del predecessiore si perde e la narrazione ingrana, i personaggi e la trama funzionano, e tornano alla ribalta anche alcuni a noi già noti come Erika Berger, il commissario Bublanski e Holger Palmgren oltre proprio i nostri protagonisti che ritroviamo simili a prima, quindi con delle differenze. A partire dal fatto che Mikael si trova a essere più spettatore degli eventi e non cacciatore di assalto col suo giornalismo mentre Lisbeth è più protagonista che mai oltre che una persona che si scopre, pur restando sempre ritrosa e sulle sue, protettiva, come si vede nei confronti di August oltre che amante della giustizia.

Se dovessimo fare un confronto con un classico che ha aperto la strada al giallo, Lisbeth può essere associata con Sherlock Holmes laddove Mikael è John Watson e in questo quarto capitolo la cosa appare più lampante che mai (già si notava che Lisbeth diventava sempre più protagonista, quindi potrebbe essere un risvolto molto naturale) e risultano essere personaggi sempre affascinanti, perché la guida della loro condotta resta nel modo più assoluto il senso di giustizia che ha caratterizzato la loro intera vita e non sono nuovi a rischiare di passare dalla parte del torto per far sì che essa trionfi.

Il romanzo presenta dei capitoli che si articolano su brevi intermezzi temporali che risultano incalzanti nella lettura, avvincenti, e le interruzioni delle sequenze narrative spingono ad accelerare la lettura acuendo al contempo il climax della storia. A differenza dei romanzi precedenti però –specie il primo – lo scenario qui è più ampio e allargandosi a parlare della sicurezza degli Stati Uniti viene a perdersi un attimo la concentrazione della narrazione sulla realtà e sulla società svedese che aveva contraddistinto la storia sinora, mentre il ritmo più rapido le dà una commistione di spy story laddove prima era un giallo con connotati di noir.

Un romanzo perfetto, dunque? Assolutamente no, sarebbe disonesto da parte mia affermare il contrario. Vi sono molte digressioni matematiche, tra cui concetti sui numeri primi, fattorizzazione, scomposizioni e, visti nell’ottica che questa riesce a essere il linguaggio di August – nonché la spiegazione sugli stessi savant – che gli permette di comunicare con Lisbeth riescono a essere perdonabili, mentre il linguaggio troppo tecnico, spiegazioni molto precise sull’informatica e sul linguaggio degli hacker possono risultare pesanti, per quanto però, dato che Lisbeth diventa maggiormente protagonista delle vicende – e dell’intrigo – può essere del tutto giustificato. Del resto, facendo riferimento alla trilogia di Larsson, noi conoscevamo poche cose della sua attività di hacker, come il nome del software creato da Lisbeth per controllare i computer di chi voleva “sorvegliare” – asphyxia – mentre le sue indagini restavano comunque secondarie; adesso invece diventano più importanti e presenti.

Resta sicuramente un merito che Lagercrantz abbia voluto informarsi sull’hacking, cosa sia e come funzioni, perché a conti fatti noi come spettatori vediamo sempre le solite mosse al computer, le schermate in bianco e nero delle parti in questione e in pochi secondi è fatta: abbastanza irrealistico, non trovate?

Questo romanzo però non era la sfida di David Lagercrantz: la vera prova del nove si sarebbe avuta con il quinto volume. E questo capitolo sarà al cinema nel 2018, con Fede Álvarez alla regia e Claire Foy nei panni di Lisbeth.

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Dopo due anni – il 2017 ormai terminato – è arrivato nelle librerie L’uomo che inseguiva la sua ombra, romanzo che segna il vero e proprio ingresso di Lagercrantz nelle fila della storia. Se Quello che non uccide poteva essere visto come un ponte tra il passato e quello che sarebbe diventato il futuro di Millennium, anche per non disorientare i lettori, ecco qui che il futuro è già giunto, diventando il presente.

Anche qui siamo sulle cinquecento pagine e, come per il volume precedente non abbiamo molte sottotrame rispetto ai romanzi di Larsson (che erano anche più corposi a livello di numero di pagine sebbene come ne La regina dei castelli di carta anche là le prime cento pagine… parevano incartarsi, se mi permettete il gioco di parole), ma la storia risulta coerente e coesa, la trama si sviluppa bene.

Ritorna in maniera più presente l’ambientazione svedese: i luoghi in cui i personaggi si muovono, parlano e agiscono sono ben tratteggiati e pare essere direttamente assieme a essi, per quanto anche questa volta abbiamo uno sviluppo parallelo della storia in luoghi diversi. In questo romanzo lo si nota maggiormente nei flashback.

Più che mai in questo libro è Lisbeth la protagonista assoluta della storia e si ritrova in un carcere di massima sicurezza per scontare una breve condanna – se avete letto Quello che non uccide sapete perché lei è qui – e all’interno della struttura tutto ruota attorno a una detenuta, Benito (sì, si fa chiamare così perché per le sue ideologie politiche osanna LVI), che si permette si spadroneggiare sul prossimo giacché chi dovrebbe garantire ordine e giustizia non lo fa. La vittima di Benito è Faria Kazi, una ragazza del Bangladesh che vive in Svezia da tanto tempo e Lisbeth farà di tutto per aiutarla.

Questo gesto permetterà a Lisbeth di accedere a un computer in carcere da dove comincia una serie di ricerche dopo la visita ricevuta dal suo vecchio tutore Holger Palmgren che innesca una serie di vicissitudini, non senza conoscere nuove informazioni che potrebbero aiutarla a conoscere nuovi tasselli della sua infanzia tormentata. Assieme al valido aiuto di Mikael scoprirà un elenco e l’esistenza di un Registro per lo studio della genetica e dell’ambiente, nonché il ricordo di una donna che aveva una voglia rossa sul collo.

Anche qui abbiamo dei temi sociali, tra cui la corruzione nelle carceri, l’andamento della Borsa e le conseguenze sulla società, l’immigrazione e la vita di una ragazza in una famiglia di religione islamica molto chiusa e intransigente, esperimenti al limite dell’etica e della morale giustificati per la scienza, nonché vite vissute a metà, gemelli scomparsi, rapporti da ricostruire, che sono argomenti che portano all’interno della narrazione anche un connotato sentimentale che non risulta affatto stucchevole o fuori contesto. Non posso dire di più però.

Purtroppo però alcune digressioni nella narrazioni, che rimandano ad avvenimenti accaduti negli scorsi romanzi, in stile “se non ti ricordi ti faccio un piccolo sommario”, forse per i nuovi lettori che partono dal quinto volume (può capitare), appesantiscono la narrazione e di tanto in tanto mi hanno fatto innervosire.

Al contrario, le dissertazioni scientifiche (specie su una questione in particolare) non mi hanno infastidita, forse perché sapevo che ci sarebbero state, memore del quarto volume, oppure perché sono una mia particolare debolezza, come anche le citazioni musicali di brani particolari che non stonano affatto né nel contesto né per quello che significa la musica in sé per due personaggi che hanno molto da dire nella sottotrama che si incastra in quella principale. Se in Quello che non uccide c’era il dettaglio di personaggi che leggevano alcuni libri che venivano nominati e mi aveva fatto impazzire, anche qui il dettaglio musicale (che è un’altra mia passione, è per questo che ho scelto di dire entrambe le cose una volta sola) mi è piaciuto molto, specie perché sono titoli che si associano bene ai personaggi in questione, sia per il loro mestiere o per gli hobby che hanno come anche il modo di vivere su di loro quella data passione.

Non per nulla abbiamo Mikael Blomkvist che legge Elizabeth George (refuso: la scrittrice non è inglese, ma americana), una giallista, mentre lui è stato di per sé soprannominato Kalle Blomkvist dopo che ha scoperto alcuni retroscena grazie a una sua inchiesta, proprio come se fosse un detective privato, come anche sapere che ha deciso di diventare giornalista dopo che ha visto per la prima volta da bambino Tutti gli uomini del presidente sono dei dettagli che caratterizzano meglio i personaggi e li rendono più vicini a noi, più umani.

Il tema dei gemelli scomparsi porterà a conoscere due personaggi – non dico altro – a scapito di altri che in questo caso sono se non dei comprimari quasi più delle comparse, a eccezione forse di Erika Berger che si vedrà in una data veste (che personalmente non mi aspettavo), mentre la coppia d’oro è presente e ben oliata.

Come dicevo prima, Lisbeth è in questo capitolo della saga al centro delle vicende più che mai e nel suo modo di indagare anche abbastanza action – facendo riferimento alla maggiore azione in tal senso delle storie di spionaggio come detto per Quello che non uccide – si scoprono nuovi dettagli della sua vita, come l’origine del suo tatuaggio sulla schiena, l’enorme drago o perché si fa chiamare Wasp e cosa rappresenta per lei il mondo in cui si è rifugiata da piccina.

È un’eroina fuori dagli schemi e dagli stereotipi, dotata di una viva intelligenza, che ha avuto un passato difficile e che, per quanto vittima, ha saputo reagire e  sconfiggere – se non tutti al momento almeno quelli che le sono parati davanti – i demoni che ha incontrato. È un personaggio che ha sé molto da dire e che è in costante evoluzione, per quanto resta sempre spinta dalla giustizia, che vive a modo suo, a stretto contatto con un febbrile stato ansioso di vendetta, per quella sua primigenia intolleranza alle ingiustizie, ritrovandosi a essere una stessa cosa.
Del resto, Lisbeth è molto chiara: prima si scopre la verità, poi ci si può vendicare. E in questa faccenda ha – se lo vediamo nella sua ottica – tutte le ragioni per volersi vendicare.

E non dico altro, perché credo di essermi dilungata troppo. Spero di avervi invogliati a saperne di più, di avervi solo incuriositi per dare una chance allo scrittore e ai romanzi, come anche di parlarne assieme se li avete già letti. Ne approfitto (visto che è il trenta dicembre) per farvi gli auguri per un buon 2018.
Ci rivedremo su questi lidi? Chissà.

Opere: come mi approccio a esse, come ne parlo e come le recensisco

Dato che ho notato nuovi iscritti sia sul canale sia sul blog (cosa per cui non ringrazierò mai abbastanza), ho pensato potesse essere un’idea carina dire delle cose che spesso potrei dare per scontate, ma se nuove persone si avvicinano a me e alle mie idee, potrebbe essere che tanto ovvie non siano.

Quindi, come dice il titolo stesso, vorrei parlarvi di come io ho a che fare con libri, fumetti, film, serie TV e chi più ha ne metta e di come poi io desidero parlarne, cosa che faccio anche su questa piattaforma.

Bene, iniziamo!

Mi risulta molto più facile scrivere in un blog che non parlare sul canale.

È la prima cosa che voglio dire (o nel caso ripetere).

La ragione è semplice: la comunicazione scritta mi è molto più congeniale; amo scrivere, e quando lo faccio riesco a ordinare meglio i pensieri rispetto a quanto farei parlando. Con questo non dico di non saper parlare a voce alta; credo di avere una buona proprietà di linguaggio per esprimere i contenuti con la forma che ritengo più adatta al momento, visto che non tutto si può e deve esprimere con lo stesso tipo di lessico. Ho un temperamento abbastanza focoso e fumantino, e quando parlo mi infiammo particolarmente, sia per quello che dico, sia per la forza e la convinzione del mio ragionamento, il che mi porta a scaldarmi; al contrario, quando scrivo, mi rilasso, lasciando emergere la parte più tranquilla e razionale. Quanto ho appena detto non implica tra le righe che mi metta a offendere a destra e manca quando parlo, affatto, ma ammetto che il mio carattere non è per nulla arrendevole e calmo.

Considerando il fatto di non avere una videocamera come si deve, il microfono di fortuna che utilizzavo distorceva parecchio la mia voce, e se la rendeva sgradevole a me in primis non oso immaginare quanto potesse dar fastidio a voi. Sì, è pur vero che tendo a essere molto autocritica, ma sono particolarmente fissata sulle voci e la mia, nel parlato senza registrazioni, è molto più gradevole.

Tutto ciò che nasce dalla fantasia per me è un’opera di fantasia.

Quando parlo di opera, in questo caso, mi riferisco a tutto ciò che viene prodotto dalla fantasia umana. Se poi si tratti di un’opera di buona qualità o pessima, questo è un discorso che esula da quello che dico in questo momento. Con “opera” non intendo il “capolavoro”, per intendersi. Credo che sia una questione importante, perché l’equivoco è sempre dietro l’angolo.

Non mi ritengo una guru e quello che dico non è una verità universale.

Penso sia ovvio, ma talmente ovvio che occorre ripeterlo: mi rendo conto che più le cose possono essere per me scontate, più per qualcun altro potrebbe non esserlo. Quello che dico sono sempre sproloqui derivati dal mio approccio a un’opera, assieme ai miei ragionamenti derivati dalla stessa e dalle informazioni che ricavo leggendo oltre a quelli derivati dagli approfondimenti per conto mio e dalle mie esperienze. Tutto questo concorre a darmi un’idea – credo – ampia di ciò che poi voglio condividere, esponendo tutto quello che ho da dire. Non la si deve pensare per forza come me, ci mancherebbe!

Fa piacere se qualcuno concorda, ma fa molto più piacere se pur non concordando si crea uno scambio di idee pacifico e costruttivo. Non è una cosa strana, accade davvero.

Quando dico qualcosa in una recensione non voglio convincere nessuno a pensarla come me su un libro/film/serie, come anche quando parlo di questioni più serie, ma nel caso in cui mi ritrovi davanti a delle immani e oggettive porcate che non stanno né in cielo né in terra dette dalle persone allora mi arrabbio, specie se parlo di faccende importanti, come le mie considerazioni sul femminismo o sulle questioni mediche.

Potete dirmi senza problemi che amate Harry Potter e non dico nulla con tutto che io lo detesto, ma se dite che una donna si è meritata di esser stuprata per via del suo abbigliamento allora vi stacco la testa a morsi, tanto per capirsi.

In virtù di cui sopra quello che io pretendo è il rispetto: come io lo do, allo stesso modo mi aspetto di riceverlo e se non perviene non esiste che io abbia un dialogo con chi non mi rispetta.

Motivo sempre quello che dico e dapprima mi informo.

Una cosa che non mi appartiene è l’odio a pelle, allo stesso modo la simpatia a pelle: qualunque sia una sensazione viscerale da me provata, sento la necessità di trovare razionalmente una ragione a quello che ho sentito, confermando o eventualmente smentendo la prima impressione. Sono sempre riuscita in questa cosa, ed è una piccola fonte di orgoglio personale, in tutt’onestà.

Amo conoscere, e sono di natura una persona molto curiosa e quando non so qualcosa cerco sempre di informarmi, cercando fonti affidabili, dato che la cattiva informazione – per certi versi più dannosa della disinformazione, anche se per me anche questa non ha ragione d’essere e non vale il “se non mi interessa non mi informo” perché se non ti informi non puoi dire se una cosa ti interessa o meno – è un cancro.

E no, non mi scuso per aver usato la parola cancro, lo dico con cognizione di causa: l’ignoranza mette radici come le cellule tumorali, può attecchire a largo spettro anche in lidi diversi rispetto a quelle in cui era nata e le conseguenze possono essere devastanti, addirittura mortali, basta pensare a tutto quello che succede nel mondo, se proprio vogliamo restare nella nostra realtà più prossima.

Non accadrà mai che io affermi qualcosa senza dare la motivazione di quanto dico, e questa sarà quanto più oggettiva possibile, oltre che informata.

Quando, per esempio, “conosco” uno scrittore nuovo cerco sempre di saperne di più, non mi limito a leggere il libro e vedere cosa mi lascia; quello è solo una parte del tutto.

Una massima di Harlan Ellison esplica chiaramente quello che voglio dire e lascio dire a lui tutto, perché non servono altre parole: “Non hai diritto alla tua opinione. Hai diritto alla tua opinione informata. Nessuno ha il diritto di essere ignorante.”

Ne ho fatto la mia filosofia di vita.

Quando mi informo su qualcosa non chiedo informazioni agli altri, ma solo le loro impressioni.

Questa è una cosa che mi riservo di fare successivamente. Quello che mi piace sapere sono i pareri delle persone, mentre la curiosità di sapere di cosa si tratta X o di cosa parla deve venire da me. Se per esempio uno dei miei amici su faccialibro sta leggendo il libro X, vado su internet e mi cerco di cosa parla, almeno per ciò che concerne la trama. Non mi va proprio di pesare sulle persone e sono parecchio orgogliosa, quindi faccio da me. Allo stesso modo non mi piace fare il riassunto; trovo che sia pigrizia. La trama si può ricercare senza problemi sul web, a me piacerebbe parlare di altro, ovvero di cosa mi sta piacendo e cosa non mi sta piacendo. Quando si cerca una trama online è facile incappare negli spoiler; personalmente a me non danno fastidio perché un conto è sapere la cosa quando ti ci informi, un conto è arrivare alla scena “incriminata” quando leggi un libro o vedi qualcosa, con le tue emozioni e le tue sensazioni. Non perdo la voglia di procedere per conto mio anche se so cosa accadrà. Ma questa sono io, quindi quello che dico, come sempre, del resto, vale uno, e non pretendo certo che si faccia obbligatoriamente come dico io, non lo penso nemmeno lontanamente!

Parlando di spoiler quando ci si informa credo però che possano esser facilmente evitati: se vado su Wikipedia è normale trovare il mondo lì sopra, dato che essendo nata come enciclopedia ha uno scopo divulgativo e deve essere completa; se vado su siti dove si possono acquistare libri o altro non si trova lo spoiler.

Per rispetto degli altri, persino nelle recensioni tendo a non fare spoiler; in caso fosse necessario per dire qualcosa lo segnalo preventivamente; quello che ora vi chiedo, a tal proposito, è: cosa considerate spoiler? Come lo considerate anche rispetto a opere di uscita non recente?

Consiglio sempre tutto, anche le opere che non mi sono piaciute.

E vi dirò di più: consiglio soprattutto quello che non ho gradito.

Qui potreste dire “ma che stai dicendo?”, eppure è ciò che penso. Sono del parere che per avere un pensiero su qualcosa è necessario averci a che fare di persona e se io dico che quel libro è bello, mi ha lasciato indifferente/perplessa o mi ha fatto schifo, a parte motivare il tutto con tutta l’oggettività che mi è propria e che mi è possibile avere, dico comunque “te lo consiglio”. Questo deriva dal fatto che spesso si apprezza o meno qualcosa anche per fattori soggettivi e io non me la sento proprio di dire “non ho amato questo, questo e quest’altro e quindi dico no per tutti”; io non so se all’altra persona che mi legge/ascolta può invece piacere quello che non ho gradito io.

Per quanto possa conoscere qualcuno e sapere anche i suoi gusti, reputo il toccare con mano qualcosa sempre la cosa migliore, perché – faccio un esempio – se una persona in quel momento cerca una lettura per nulla impegnata e impegnativa e le va bene anche una ciofeca che a me ha fatto letteralmente cacare (ops, ne parliamo al prossimo punto) potrei impedirle di dilettarsi un attimo e di trovare l’evasione che cerca (ne parliamo tra due punti).

Con questo non dico che chi si fida del parere di qualcuno che conosce i gusti dell’altro faccia bene o male a non voler constatare di persona, ognuno è libero di fare come meglio ritiene opportuno, anche parlando di come investire il proprio tempo, ma per onestà intellettuale e per restare coerente con me stessa, dirò sempre cosa mi è piaciuto, cosa no, cosa ho amato, cosa ho odiato, cosa mi ha lasciato indifferente, aggiungendo il “ve lo consiglio sempre e comunque”.

Rivendico il diritto di dire che se una cosa mi fa schifo… mi fa schifo e basta, senza giri di parole.

Ritengo che le emozioni e i loro spettri siano tanti (direi vasti, per la precisione) e se amiamo un qualcosa con tutto il cuore, allo stesso modo possiamo odiare – non sono una buonista, quindi per me l’odio è possibile e reale – qualcosa, quindi se ci piace qualcosa con l’intensità di mille soli allora si può schifare nella stessa ed esatta maniera.

Per me l’indifferenza è la cosa peggiore perché vuol dire che la determinata opera non è riuscita nemmeno a fare breccia nel cuore e nella mente di chi ci si approccia alla stessa.

Dire che una cosa “fa schifo” non è un’offesa verso chi ha prodotto la tale opera (anche se ritengo che l’autore abbia offeso chi la legge/vede, ma dipende da quanto e quale sia lo schifo) e non è una cosa maleducata da dire: non si sta offendendo nessuno.

Se io dico “le cinquanta fognature mi fanno cacare a spruzzo” – va bene, ho sparato sulla croce rossa, mi rendo conto – non è che io dico “la James è una troia”; sono due cose totalmente diverse. La prima è legittima, la seconda no, perché offendi la persona che a parte aver scritto una merdata cosmica a te non ha fatto nulla: non ti ha rubato nulla non pagando le tasse, non ha ucciso nessuno, ecc.

Per questo dico che voglio rivendicare il diritto a dire che qualcosa fa schifo, e allo stesso modo tutti. Purché lo schifo sia motivato. E beh, sarebbe troppo facile altrimenti.

Con me ognuno ha il diritto di leggere ciò che gli pare e non sarà schifato come persona per quello che legge.

Abbiamo gusti diversi, questo è risaputo, e aggiungo che abbiamo tutti esigenze diverse, come anche tutto il tempo davanti per cambiare ‒ eventualmente ‒ le nostre preferenze. Parlando di esigenze mi riferisco al voler, in un determinato momento, di leggere una data cosa. Per esempio, in estate mi piace leggere maggiormente la saggistica dato che mettendo da parte gli studi un attimo posso concentrarmi su qualcosa di più impegnativo, e allo stesso modo si possono leggere libri meno impegnativi proprio per sentire la leggerezza da vivere in vacanza. Tutto ciò non è affatto un problema per me.

Ciò che a me dà fastidio è la soggettività che non permette di essere oggettivi, cosa di cui ho parlato qui, qui e qui.

Lascio passare del tempo (spesso parecchio) rispetto all’uscita di un’opera per avvicinarmi a essa.

Non mi approccio a qualcosa quando va di “moda” e non perché voglia fare l’alternativa a qualcosa – alternativa di che, poi, visto che ormai l’unica cosa davvero alternativa per quel che mi riguarda è essere se stessi – ma perché voglio evitare la febbre di quel determinato prodotto. Per febbre intendo proprio l’entusiasmo – che sfocia in delirio più di quanto non si pensi – che spesso non solo è eccessivo, ma tende a dar fastidio alle persone se hanno da ridire in modo oggettivo sulle cose, nella fattispecie me.

Non è il prodotto in sé che scanso, quanto più la fanbase, essenzialmente per due motivi. Se mi si dice di leggere/vedere/approcciarmi a qualcosa con insistenza, si può star sicuri che eviterò la data cosa con slancio perché più mi si dice di fare qualcosa e più non la faccio a prescindere. La ragione, però, non è solo questa. Avendo avuto molto a che fare col dilagante disagio delle persone, nel momento in cui mi avvicino a qualcosa preferisco che passi del tempo rispetto a quando la maggior parte delle persone attorno a me leggono/vedono questo o quello. Non è per cattiveria, ma voglio semplicemente essere serena quando mi diletto con le mie passioni; ho già tante preoccupazioni nel mio quotidiano, quindi evito quanto più possibile la gggente che gggenteggia, per capirsi.

Lo stesso vale quando sono invitata a dire la mia e con tutto che sono educata e motivo ciò che dico mi si attacca. Grazie, ma no, grazie.

Quando la febbre passa, ecco che io mi avvicino alla cosa. Non è un mistero che io abbia letto per esempio L’ombra del vento solo lo scorso anno (non appena sarò meno “impicciata” ve ne vorrei parlare come si deve), per esempio. Nel caso in cui aspetto invece con trepidante attesa qualcosa, allora tutto questo non lo considero in parte ovvero sto solo attenta a non avere a che fare con la gggente.

Credo di aver detto tutto, mi sa. O forse no; per il momento mi pare di sì, però potrei sbagliarmi. Nel caso in cui abbia dimenticato qualcosa, mi riserverò di aggiungerlo.

E voi, come vi approcciate a un’opera?

Book tag: il corpo umano.

Tempo fa avevo visto questo tag molto simpatico e che possono fare praticamente tutti; come sempre, io eviterò di citare delle persone perché non mi sembra carino “obbligarle” – almeno io la vedrei così se fossi nei loro panni per quanto sia sempre facoltativo –, ma nel caso in cui vogliate partecipare siete i benvenuti, leggerò molto volentieri le vostre risposte.

Lo ammetto: la persona ormai non solo con una deformazione professionale, ma anche professionalmente deformata (adoro questo gioco di parole e non so il perché), non appena trova qualcosa che la rimanda alla medicina è contenta, scalpita e saltella come una fangirl. Probabilmente si può dire che sono una fangirl della medicina e non me ne spiace affatto.

Spero di non risultare banale con le mie risposte e di cercare di variare i titoli dei libri proposti rispetto ai book tag fatti tempo addietro sul Tubo: come ho già detto, mi risulta molto più facile esserci sul blog che non sul canale e mi diverto anche di più.

Ogni parte del corpo citata ha una definizione (alcune volte più di altre dal nesso discutibile) a cui poi associare un libro, iniziamo!

OCCHI: un libro di cui ti sei innamorata al primo sguardo.

Non mi è mai capitato di innamorarmi di un libro dalla copertina o anche di comprarne uno guardando solo la copertina, almeno finora; sono sempre stata maggiormente attratta dalla sintesi che si può trovare in quarta di copertina o anche proprio dalle prime pagine lette che possono invogliarmi a voler leggere tutto il libro. Molte copertine sono molto belle, non dico di no, alcune della Rizzoli o della Garzanti quando vado in libreria mi lasciano a bocca aperta, ma niente, non attecchiscono. Mi si permetta quindi di cambiare questo “primo sguardo” con “prima lettura” e qui cito King Lear di Shakespeare.

La copertina della mia versione (Giunti Classics, con testo integrale in lingua corredato di commenti accurati e spunti di interpretazione) ha anche una bella copertina: vi è raffigurato Re Lear nella tempesta ed è un quadro di Benjamin West del 1788 chiamato King Lear: Act III, Scene IV (King Lear in the Storm).

BOCCA: un libro che hai letto e che conoscono tutti.

Harry Potter? Hunger Games? Twilight? Shadowhunters? Le cinquanta fognature?

Li ho letti tutti e almeno per sentito dire sono sicura che si conoscono, per quanto non si possa averli letti. Trovo improbabile anche questo, a dire la verità, ma la certezza di conoscerli almeno di nome la ho.

POLMONI: un libro fondamentale nella tua vita.

Potrei dire tutti i miei libri preferiti – di cui ho finalmente sistemato la lista almeno fin quando un altro non diverrà l’ennesimo preferito – ma ho promesso che non sarei stata banale nelle risposte (almeno ci provo). Non riesco comunque a scegliere.

I miei libri preferiti riescono a essere il mio porto sicuro ogni volta che ho bisogno di riflettere o quando sono molto triste: nei momenti di grande tristezza succede che rifletto più del solito e non riesco proprio a crogiolarmi nel dolore, per quanto da fuori possa sembrare se mi si vede con un libro tra le mani dato che sono completamente assorta nella rilettura. Tornare tra le pagine dei miei libri preferiti mi fa sentire “a casa”, certa di essere sempre ben accolta e trovando delle risposte che fino a quel momento non conoscevo ed ecco che le mie riflessioni precedenti ottengono chiarimenti, riuscendo a farmi sentire se non completamente di buon umore, almeno più serena.

Tra tutti dico Le nebbie di Avalon, mi ha molto aiutata in un momento davvero molto difficile di cui porto i segni ancora oggi, per quanto possa parlarne liberamente e per quanto abbia già fatto notevoli passi in avanti verso un nuovo benessere.

STOMACO: un libro che hai divorato rapidamente.

Con me è molto difficile che avvenga il contrario: la prima lettura, se il libro mi appassiona, è sempre rapida, non dura mai più di un giorno. Confesso che quando sono molto presa non faccio altro che leggere e non vado nemmeno in bagno o mangio… almeno fin quando non finisco di leggere. È un’abitudine che mi porto dietro da sempre, stando ai racconti di chi mi ha vista crescere.

Cito il più recente: La Signora del Lago di Andrzej Sapkowski.

Voglio parlarvi nel dettaglio di questo signore e conto di farlo al più presto.

FEGATO: un grosso libro.

Qui ci vedo un doppio senso: grosso libro inteso di mole o nel contenuto? Se si intende nella prima accezione basta citare qualsiasi libro di più di… facciamo cinquecento pagine? Ma nessun problema! Ormai abbiamo i libri “distillati”, chissenefrega, no? Scusatemi, ma questa cosa mi fa prudere le mani.

Non mi spavento per i libri di tante pagine e trovo un poco superficiale questa cosa a dire il vero, ma tant’è, sono soltanto i miei “farfugliamenti sciocchi” (una fetta di torta a chi indovina la citazione).

Un libro che a prima vista può sembrare molto grosso, tra quelli che ho è Mondo senza fine di Ken Follett, per quanto ne abbia letti di più lunghi, ma è proprio la copertina a essere anche bella spessa nell’edizione che ho io e sembra un mattoncino.

A livello di contenuti, di interpretazione, di rimandi e di complessità in generale non posso non citare Il Silmarillion di Tolkien.

APPENDICE: un libro che ti è piaciuto e che non ti è piaciuto, insomma, è indifferente.

Povera appendice, sempre così bistrattata! Noi studenti di medicina ti ricordiamo, e studiamo anche i punti di repere e i vari punti da cui cercarti, in caso patologico, su, non esser triste quando ti dicono che sei indifferente. Sei proprio stronza, altroché, pare che tu sia una delle cause di dolori più lancinanti. Dico così perché la mia non mi ha dato rogne. *fa scongiuri*

Questa mi sa tanto di unpopular opinion: Il ritratto di Dorian Grey di Oscar Wilde.

Per carità, scritto bene, ma a me non ha lasciato proprio niente e Wilde con questo libro mi ha molto ricordato À rebours di Huysmans, che Wilde stroncò, però.

Sono sicura che a lungo andare – ma forse nemmeno così tanto lontano nel futuro – finirò per odiare questo libro un poco come tutti quei fan de Il piccolo principe che si sono – a ragione – stancati di vedere un libro che a loro piace ridotto sempre alle solite due-tre frasi da citare sempre e da mettere come didascalie di foto del profilo di cui tutto si vede tranne questo famoso “essenziale invisibile agli occhi”. Ridurre dei libri ad aforismari in stile Coelho che più passa il tempo più propone aria fritta e frasi stile Tumblr (la parte disagiata) mi intristisce tanto.

CUORE: un libro romantico.

Nella mia vita ho letto tre – se considero una trilogia come volume unico – romanzi d’amore, mentre uno (Non lasciarmi di Ishiguro) non ho nemmeno finito di leggerlo e l’ho scambiato con una ragazza che invece mi ha ceduto Diary di Palahniuk.

L’unico che mi piacque di questi fu Se solo fosse vero di Marc Lévy; da questo libro hanno anche tratto un film con Reese Witherspoon che non mi dispiacque affatto, sarà che adoro lei.

Lo lessi a sedici anni; non so se potrebbe piacermi a una seconda lettura oggi. Non so nemmeno se voglio scoprirlo.

CERVELLO: un libro realistico e riflessivo.

Su questo non ho nessuna esitazione: E così vorresti fare lo scrittore di Giuseppe Culicchia. Sarà uno dei prossimi libri di cui leggerete la mia recensione. Dire che ho riflettuto ridendo al contempo lascia presagire cosa potrei affermare ancora.

CAPELLI: un libro che hai comprato per la bella copertina.

Come dicevo prima: nessuno. Però trovo bella la copertina della mia copia de Il giuoco delle perle di vetro di Hermann Hesse, che è il particolare di un quadro di Paul Klee.

UNGHIE: un libro che per te vale oro.

Devo ammettere che qui l’associazione tra la definizione e le unghie non mi è del tutto chiara. Che lo si intenda come “un libro che difendi con le unghie e con i denti”? Sarà che io amo i miei capelli più delle mie unghie…

Anche qui non ho dubbi o incertezze: Fahrenheit 451 di Ray Bradbury. Mi ha dato tanto, mi ha insegnato tanto e ancora oggi devo tanto a questo libro che mi ha permesso di accrescermi non solo culturalmente, ma proprio come persona, perché ho imparato a mettere in discussione le mie convinzioni e le mie errate credenze per essere finalmente me stessa per davvero.

Aver visto a Foggia le sentinelle in piedi con questo libro tra le mani mi ha fatto molto male, perché vedere la gente ignorante con un libro che è un simbolo della lotta all’ignoranza ha un qualcosa di perverso e di cattivo che mi ha ferita, ma questo non vuol dire che io smetterò di fare la mia parte contro la vera ignoranza. Anzi, è uno sprone a voler lottare ancora di più.

INTESTINO: un libro che hai abbandonato.

Adesso mi faccio meno scrupoli che in passato, quando volevo necessariamente finire il libro perché mi sembrava la cosa giusta da fare. Adesso la mia “politica” è un poco diversa ovvero perché dovrei continuare per forza un libro che non riesco a leggere? Ci riprovo quando mi sentirò più in vena e se non dovessi riuscire nemmeno questa volta mi metterò l’anima in pace.

Effettivamente ora faccio sempre così. A ben pensarci, è da tanto che non termino una lettura, l’ultima che io ricordo è Lesioni personali di Scott Turow che non mi ha proprio preso.

E queste erano le mie parti del corpo con libri associati, quali sono le vostre? Divertitevi pure con questo giochino, alla prossima!

Fenice Scatenata. #01

Alla gogna, alla gogna!

Opinioni impopolari che ti mandano direttamente sulla forca.

Ho finalmente inaugurato la rubrica delle unpopular opinion.

Ne ho parecchie, su tante cose e in tanti ambiti.

Posso affermare che, per quanto impopolari possano risultare, sono comunque opinioni su cui ho riflettuto e sono frutto di un pensiero personale.

E sono parecchio forti in certi casi. Per quanto io accetti anche le idiosincrasie, io non ne ho. Forse è un bene, forse no, ma non credo abbia importanza.

Credo che la rubrica dovrebbe avere una cadenza regolare; sicuramente mi sarebbe congeniale a fine mese, ma non so se renderla mensile o bimestrale. Fatemi sapere cosa ne pensate.

Per cominciare col botto ho pensato di utilizzare l’Unpopular opinion book-tag, sia perché ho iniziato la mia “carriera” di irriducibile criticona coi libri sia perché l’ho trovato carino per la prima puntata.

Bene, iniziamo! Se qualcuno volesse farlo a sua volta ben venga.

1) Un libro famoso o una serie che a te non è piaciuto/a.

Uno solo? Ottimisti, direi.

Vorrei parlarne singolarmente in altri post, quindi mi limiterò a citarli come elenco e basta: Harry Potter, Orgoglio e Pregiudizio, Shadowhunters, The perks of being a Wallflower, Colpa delle stelle, la saga de Il cavaliere d’inverno, la saga delle cinquanta fognature sfumature, After… c’è bisogno che prosegua?

2) Un libro famoso o serie che pare che tutti odino ma che tu ami.

Di solito accade che ciò che io amo non se lo caca nessuno (o quasi) quindi sono in pochi a conoscerlo e suppongo che non rientri nella categoria del “famoso” nel senso di “popolare”, che piace a molti o che molti odiano.

Non so come rispondere a questa domanda, ma se interpreto il “famoso” con “conosciuto”, anche solo di nome, dico Guerra e pace, da molti odiato per la mole e scansato anche solo per questo.

Invece è uno dei miei libri preferiti.

3) Un triangolo amoroso dove il protagonista finisce con una persona con il personaggio sbagliato (avvisare per gli spoiler) o una OTP che non ti piace.

Preferisco parlare di una OTP che non mi piace, e dunque mia NOTP; sui triangoli ritornerò in un’altra domanda, non avrebbe senso dire due volte le stesse cose.

Una mia NOTP sono Geralt e Yennefer della saga di The Witcher, di Sapkowski.

Preferirei di gran lunga vedere lo strigo con Triss, ma non con Yennefer, mai e poi mai. Sarà che io mi rivedo nella donna il cui amore non è corrisposto perché c’è sempre una tizia che ruba la scena (Yennefer, appunto) e la storia della mia vita sentimentale è più o meno quella di Triss, mi sento solidale a lei.

4) Un genere letterario popolare a cui tu difficilmente ti accosti.

L’ho già detto altre volte, ma lo ripeto senza problemi: io non leggo romanzi rosa, urban fantasy, young adult e new adult.

Non fanno proprio per me; ci ho provato, mi ci sono avvicinata facendo un tentativo per ogni genere (alle volte anche più di uno), ma li evito come gli esantemi infantili che non ho contratto. Se dovessi leggerli sarebbe perché rivisiterei tutto nella mia testa in chiave parodica per riderci su. E non me ne vergogno.

5) Un personaggio popolare o molto amato che a te non piace.

Anche qui mi vien da dire: uno solo? La scelta è difficile, se proprio voglio provare a restare nel range di uno. Mi sono già “bruciata” Yennefer nella risposta tre, quindi ne cerco un altro.

Con questa mi attirerò i peggiori anatemi, ma nel caso chiederò aiuto a un guaritore spirituale, non si sa mai: Hermione Granger.

È un personaggio femminile nel quale non mi immedesimo per nulla – se non mi immedesimo in un personaggio è difficile che mi piaccia – e che se dici un X sul perché e percome non ti piace, ecco che partono i “non capisci un cazzo”.

Quindi a me già non piaceva di mio da sempre, ma col tempo i fanatici me l’hanno proprio fatta stare sul culo.

Perché è così, se a lungo andare non puoi nemmeno dire la tua opinione in modo civile perché subito ti attaccano se non la pensi come la maggior parte delle persone, ecco che a me scatta l’odio.

Come ho già detto, la saga non mi piace, ma l’ho letta, e tutto quello che dirò deriva dalle mie reminiscenze.

È un personaggio che ha una notevole intelligenza accademica, è brava – tecnicamente – a studiare e ripassare, impara con facilità quello che fa parte del suo piano di studi.

È anche però la persona che a circa dodici anni deve vantarsi, sul treno della scuola, di aver già letto tutti i libri di testo e provato vari incantesimi che le sono tutti riusciti perfettamente.

Viene detto che questo suo modo di fare è un tentativo di tenere a bada le proprie insicurezze, ma se fosse così intelligente le verrebbe in mente di non farlo perché gli altri potrebbero veder crescere le loro insicurezze. Sono tutti del primo anno, che diamine!

Ritiene assolutamente normale far firmare a dei compagni di scuola ignari un contratto con delle clausole vincolanti nascoste.

Considerando la penalità per le clausole infrante a posteriori mostra la sua grande, grandissima intelligenza.

In primis perché non sa annullare l’incantesimo e non ha nemmeno pensato di vedere se fosse capace nel farlo e in secundis perché è un modo per non rendersi a mio dire affidabili.

Sarebbe questa l’intelligenza e la capacità di giudizio della “strega più brillante del suo anno”, che pare essere più adulta e matura dei suoi compagni già prima dell’uso della giratempo, figurarsi poi?

Se per voi lo è, okay, ma per me è no.

Ritengo che Ron avesse davvero ragione nel dire che ha bisogno seriamente di rivedere le sue priorità. Ha detto una santa verità.

Non trovo normale che una persona possa dire con tutta la serietà “potremmo finire uccisi o peggio ancora espulsi”.

Tende a pensare che quello che c’è scritto su un foglio sia più importante di quello che provano gli altri.

Ma seriamente, i suoi genitori secondo lei avrebbero pianto se fosse stata espulsa o se fosse crepata?

Di fronte al molliccio dimostra che la sua peggiore paura è davvero un fallimento scolastico e non qualcosa che riguarda i rapporti umani e l’emotività.

Una paura molto più importante può essere perdere chi ami, vedere le persone che ami che stanno male, di non essere deriso, bullizzato, non di fallire a scuola! E lo dice una che ama studiare e raggiungere ottimi risultati.

Ricordo che deride Ron dicendo che ha la gamma emotiva di un cucchiaino quando lui ha perfettamente ragione riguardo al discorso su Cho che esplode per via dello stress emotivo. Provare tante emozioni contemporaneamente comporta stress, tentennamenti e non è facile essere sereni, siamo umani, non esseri inanimati.

Vogliamo parlare della storia del C.R.E.P.A?

Un’idea nobile, in teoria, perché nella pratica, insomma…

Nella pratica sembra il padre di Matilda che dice “io sono intelligente, tu sei scemo; io ho ragione, tu hai torto”.

Si è messa in testa che gli elfi sono oppressi e maltrattati e che vanno liberati da qualcun altro ovviamente, perché da soli non ci arrivano.

Il comitato di liberazione poi assume una sigla a dir poco orrida. Quella sulle spille in originale è “vomitare”/”vomita”. È così intelligente che non si è nemmeno resa conto che sarebbe stato imbarazzante in due modi diversi.

La sua intelligenza è così superiore che non le importa se tutti le dicono che gli elfi non vogliono essere “liberati”; hanno di sicuro tutti torto perché lei è intelligente, quindi loro se la pensano maniera diversa sono stupidi.

Non si rende conto, quando finalmente parla con gli elfi domestici, dall’alto della sua intelligenza – per puro caso, perché non si è mai presa la briga di chiedere la loro opinione – che non solo gli elfi non vogliono essere liberati, ma che si considerano profondamente offesi e insultati dal suo comportamento. E non è contenta. Arriva fino al punto di mollare capi di vestiario in giro e nasconderli sotto la spazzatura nella speranza che finiscano accidentalmente liberati mentre fanno le pulizie perché naturalmente loro in realtà vogliono essere liberati, solo che non sanno di volerlo.

Non si rende conto che se funzionasse vorrebbe dire cacciare via delle persone da casa loro. E dove andrebbero a lavorare e vivere questi poveretti?

Non si rende ulteriormente conto che gli elfi si sono accorti del suo operato e che per il disgusto si sono messi in sciopero.

Non si rende nemmeno conto che il risultato è che tutto il lavoro di togliere gli abiti sparpagliati lo sta facendo Dobby, cioè l’unico che secondo lei potrebbe dire agli elfi di essere liberi così come lo è lui.

Tutto questo dal punto di vista dell’intelligenza emotiva e dell’empatia è un grosso buco.

Io la trovo stupida e non posso farci nulla, non è un personaggio femminile in cui mi immedesimo o che mi ha lasciato qualcosa, una donna che vorrei diventare.

Ho il diritto di dirlo? Sì. Ho motivato quello che ho detto? Sì. Abbiamo letto lo stesso libro? Sì. Possono essere motivi per i quali io odio un personaggio? Credo proprio di sì. Mi si deve dire che non ho capito un cazzo? Traete le somme.

6) Un autore popolare col quale non ti intendi.

Anche qui ce ne sono parecchi. Se proprio devo dirne uno dico Baricco.

Mi sono piaciuti moltissimo Novecento e Oceano mare, poi ho proseguito la lettura di altri suoi testi e mi sono sembrati aria fritta, ma ben scritta, per carità.

Ci leggo molta essenza autocelebrativa come a dire “guardate, scrivo del nulla, ma lo so fare bene”.

Ho bisogno di forma e contenuto per sentirmi una lettrice felice e soddisfatta.

7) Un luogo comune di un libro famoso che sei stanco di leggere (esempi: la donzella da salvare, capi corrotti, triangoli amorosi, ecc.).

Ed eccoci qui: i triangoli. Le Mary-Sue stavolta le lascio da parte, ma ce ne sarebbero di cose da dire, ahinoi.

Per me sono il male per una serie di ragioni.

Innanzitutto è molto difficile per me apprezzare una storia d’amore in una narrazione che prettamente romantica non è, le storie d’amore devono essere in linea con la mia visione dell’amore e se non lo sono… kaputt!

Ciò non toglie che non ve ne siano alcune della cui lettura conservo un bellissimo ricordo al punto tale che sono le mie storie d’amore preferite in letteratura, sono solo quattro (mi piacerebbe parlarne in un post apposito).

Se ci sono i triangoli, oltre a una storia d’amore che si discosta dal mio modo di concepire l’amore, alzo gli occhi al cielo e dire che mi arrabbio è poco.

Nella vita reale odio le persone indecise, lo stesso vale nei libri. Non sopporto l’idea di una persona indecisa nei sentimenti perché ritengo che ci sarà sicuramente chi tra i due contendenti – solitamente sono uomini che ruotano attorno una Sue – quello che alla tizia piace di più senza pensarci troppo e senza far penare quei poveretti.

Lo dico fino allo sfinimento, ma vorrei tanto che in una storia la persona indecisa venisse mandata al diavolo da entrambi i poveracci che mi fanno pena – magari bellamente sfanculata – e che cercassero l’amore altrove, con persone che sicuramente sapranno apprezzare le loro persone o che lo trovino tra loro, perché no?

Troverei il tutto sia originale e sia vicino alla mia considerazione di persone e sentimenti.

Le persone non sono tappetini da mettere sotto i piedi e da illudere.

Coloro poi che si riducono a zerbini poi dovrebbero capire che la persona non ricambia il sentimento e in aggiunta li trattano non proprio benissimo, e quindi si parte alla ricerca di qualcuno che si spera sia migliore.

Finora nei libri con un triangolo non mi è capitato di leggere una cosa del genere.

E io dico: è un vero peccato, sul serio. Godrei nel leggere una scena come questa.

Comunque il triangolo più brutto che abbia mai visto si trova in un film. Ne parlerò più in là, potete giurarci.

8) Una serie famosa che non hai intenzione di leggere.

Solitamente dico mai dire mai, ma al momento direi… La saga di Divergent. Non mi attira, sento la più completa indifferenza verso questa serie quindi nulla, non la leggerò.

9) Si è soliti dire “il libro è sempre migliore del film”, ma quale film o adattamento TV preferisci di più rispetto al libro?

Su questa non ho il minimo dubbio: i due film di Bridget Jones.

Se ben fatte le commedie romantiche mi fanno ridere e mi diverte vederle; trovo che i libri siano scritti maluccio e la resa del diario della cara “zitella e lunatica” sia di gran lunga resa meglio su schermo, le vicende hanno una buona continuità, la fedeltà ai libri c’è ed è sempre un piacere per me vederli!

Il terzo libro non lo considero… no, proprio no! Non faccio spoiler, ma il finale mi sembra proprio buttato lì per dare un contentino sia a Bridget sia ai lettori.

Una vera dilusione di diludendo.

Di donne che aprono i libri, le gambe e/o tutti e due.

Non è certo un caso se inizio a ricondividere i miei post di Blogger partendo da questo.

Per chi non mi conoscesse… non ho mai nascosto (e mai lo farò) di essere una femminista.

Attenzione, femminista, non femministaminkia, la differenza è abissale.

Credo che il voler scrivere titoli con il “di” iniziale che ricalca il complemento di argomento latino mi stia sfuggendo di mano. Però mi piace tantissimo, non posso farci niente.

Dopo l’ennesimo sproloquio, passo subito a illustrarvi una faccenda di un po’ di tempo fa, ma che comunque è sempre attuale perché purtroppo la situazione non è cambiata affatto.

Tanti sono gli stereotipi sessisti verso le donne e questo… parla da solo.

Eloquente, non trovate?

Da dove posso iniziare, dalle varie parolacce che mi vengono in mente?

“Aspetta che me fermo un attimo, aspetta che me fermo un secondo, eh!” Il santo Germano esprime bene ciò che voglio dire.

Mi chiedo: è davvero possibile che si possa pensare che se “apri le gambe” inevitabilmente sei una povera stupida, scema e col cervello chiuso nonché piccolo come una noce?

Vien da sé che chi ha il cervello chiuso è chi lo pensa.
La dicotomia donna che apre le gambe (da leggere che vive liberamente la propria sessualità) uguale stupida ignorante contro la donna che legge uguale casta e pura è quanto di più idiota io abbia mai sentito e letto.

C’è davvero qualcuno che pensa che questo sia vero?

Hai detto tutto tu e hai ragione.

Quello che la gente non sa è che si può essere donne che amano leggere, acculturarsi e altro anche vivendo la propria vita sessuale come più ci aggrada.

Sì, ho detto ci.

Io mi trucco, mi curo, amo le gonne corte, le parigine, le magliette scollate che mi valorizzano e mi piace il sesso, detto senza tanti giri di parole, e mi piace anche farlo da sola.

Oh, non dovevo dirlo?

Yotobi ha permesso di creare il meme del secolo (?)

Non mi pare di essere però un’ignorantona o che altro.

Uno dei tre nomi del nick che uso anche qui, per la precisione Aspasia, rimanda alla famosa Aspasia di Mileto, che fu la compagna di Pericle e che viene erroneamente vista come etera, forse perché non erano legalmente sposati o perché Pericle ripudiò la moglie per lei (ed ecco che viene vista come zoccola, e già), era una donna colta, intelligente, esperta di politica e di retorica che pareva insegnasse anche.

Essere sessualmente libere di agire come si vuole (e per quanto mi riguarda, nel rispetto del mio corpo e in modo del tutto sano e sicuro dal punto di vista della contraccezione e della prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili) non preclude il fatto di non amare la lettura, la cultura, qualsiasi forma d’arte.

Non ti aspetteresti invece certi commenti sessisti da chi si professa lettore.
La lettura dovrebbe promuovere e far sviluppare un pensiero libero e indipendente, una mentalità aperta e non restare fermi e impuntati su concezioni inconcepibili oltre che ignoranti.

Si sfogliano solo pagine a caso oppure si interiorizza la lettura?

Se si dicono cose del genere… propenderei a sostenere la prima tesi, con mia somma angoscia.

Potrei proprio dire che aprire i libri porta menti aperte e anche gambe aperte.

L’emblema della donna bella e svampita per eccellenza (con l’aggiunta di essere anche bionda), Marilyn Monroe, amava leggere. Lo avreste mai detto?

Ma no, una gnoccona che legge non esiste nel mondo, leggono solo le racchie.

Lei odiava che la si vedesse bella e per questo stupida.

Si può anche leggere in intimo, sapete? Questa bellissima foto con Bettie Page lo mostra.

Volendo, si può leggere anche nude, nessuno lo vieta.

Jonathan Franzen dichiarava che “non c’è niente di più sexy di una donna che legge” e le donne possono essere delle lettrici e consapevoli anche del loro fascino, della loro bellezza, della loro carica erotica e possono vivere il sesso in modo libero, senza bigottismi e pensieri trogloditi che vengono da una massa di gente che non è e non deve essere né giudice né giuria né boia.

E, tanto per non farci mancare nulla, visto che si pensa anche che una donna che si trucca è automaticamente stupida…

Questa sono io, truccata, con un vestito aderente (tetteH) e con in mano il libro che a dodici anni mi ha fatto conoscere il mio amore letterario: Philip Roth. Volevo mostrarlo in foto.

Diffondere con orgoglio cose sessiste difendendo modelli di virtù vari ed eventuali che sminuiscono le donne… non è una bella cosa, specie se detti dai “lettori”

La lettura promuove, tra le altre cose, anche la cooperazione e l’unità tra tutti.

E ancora non ci siamo.